STASERA CON ParlaMente 18 luglio 2014

lunedì 18 novembre 2013

Grande Fratello? Preferisco il futuro

È possibile riscontrare una curiosa analogia tra un certo settore del mondo dello spettacolo e l’allevamento. Immaginate un’azienda avicola che seleziona tra decine e decine di polli un ristretto numero di esemplari, che vengono chiusi in un’aia e lasciati lì a beccarsi l’un l’altro, così mentre sono impegnati a gonfiare le piume si fanno rubare tutte le uova dall’allevatore (e se ce n’è bisogno, anche qualcuno di loro fa un viaggio di sola andata verso la rosticceria). L’aspetto etologicamente paradossale della storia è che per i polli in questione razzolare in quella stia rappresenta il sogno della loro vita e, a pensarci bene, è questo il segreto del Grande Fratello.

Nel Novecento queste due parole saranno anche state il sunto del totalitarismo senza via d’uscita prospettato da Orwell; ma è bastato un programma televisivo in prima serata, dalla formula nemmeno tanto originale, per ribaltare l’accezione del termine. Chiedete alle decine di aspiranti concorrenti per conferma. Vi si parlerà della strada per il successo, dell’occasione della vita e del mondo magico del teleschermo. Come se in dodici edizioni da quel prefabbricato tanto ambito siano usciti gli eredi di David Letterman e Oprah Winfrey. In fin dei conti provare non costa nulla, e se puoi contare su una biografia originale o lacrimevole (meglio entrambi, con l’aggiunta di addominali esplosivi oppure vari quintali di silicone in corpo) hai una marcia in più.

Non è mai mancato tra i fortunati prescelti il ragazzo rapito da bambino, il provincialetto con l’America in testa, la bellona “ocolinga”, tanto per restare in tema orwelliano. Per questo non può che far gola la storia di un vu’ cumprà che si laurea in Ingegneria. Chissà la faccia che avranno fatto i produttori quando hanno incassato il netto “no” di Rachid Kadiri Abdelmoula. Ventisette anni, ne ha passati sedici tra le strade di Torino a chiedere l’elemosina o a vendere fazzoletti e accendini. Una lotta quotidiana, la speranza di avere abbastanza spiccioli a sera da poter entrare in una bottega e comprare un panino. Rachid passa l’adolescenza in un istituto tecnico, l’Itis “Avogadro”: uno dei suoi professori ha l’abitudine di dire “ciò che vale costa caro”. Probabilmente l’insegnante non sapeva che la sua espressione sarebbe stata la massima di quello studente marocchino, uno di quelli di cui si parla abbassando la voce e con un’aria contrita. “Ha difficoltà economiche, non può permettersi la gita di fine anno” e tutte quelle frasi sussurrate che fanno da fondamento alle chiacchiere di quartiere. Così Rachid si diploma e spiazza tutti, entrando al Politecnico. Ma le tasse da pagare sono tante, troppe perché un semplice vu’ cumprà possa dire addio alla sua scatola da esposizione per calare la testa sui libri. Così ogni pacchetto di fazzoletti venduto è un passo più vicino alla meta, le notti si allungano ma gli occhi non devono cedere al sonno. Ci sono le sessioni d’esame da affrontare, infine la laurea. Rachid ha ventisei anni e la sua storia, completa di fotografia di famiglia, finisce sui giornali. “Tanti sacrifici, sorriso da bravo ragazzo e un nome facilmente memorizzabile: pensate che figurone farà questo nel salotto della D’Urso”. Sono sicuro che avranno pensato questo gli addetti al casting del Gf, venendo a conoscenza della sua storia. Eppure almeno per una volta sono rimasti a bocca asciutta. “Preferisco progettare palazzi e il mio futuro di ragazzo normale, ex «vu’ cumprà», con un lavoro vero. – scrive Rachid su La Stampa.it – Perché chi tiene duro e fa sacrifici, un lavoro lo trova”. E infatti per lui è arrivato. Dopo aver ricevuto i complimenti del ministro Kyenge in persona, ha ricevuto tre offerte, tra cui quella di un colloquio con un’importante azienda piemontese. E se può suscitare un certo scoramento nel rilevare che in Italia un ragazzo debba chiedere denaro ai passanti per pagarsi gli studi, RKA è sicuro che non sarà sempre così: “Le passeggiate da vu’ cumprà mi hanno insegnato che per ottenere qualcosa non devi stare mai fermo. La storia è ciclica, dopo le discese ci sono le crescite economiche”.

Avanti, gente: il futuro è nostro. E si trova nelle nostre idee, non in un confessionale.

Samuel Boscarello per cogitoetvolo.it

lunedì 4 novembre 2013

Qui non si muore!

Ogni nazione ha la sua personale immagine all'estero, quell'essenza speciale che fa sognare ed evoca le sensazioni più forti. Chiedetemi cosa mi viene in mente quando penso agli Stati Uniti. Vi risponderò mostrandovi lo skyline di New York, i polverosi paesi del sud che hanno ispirato il mito del Far West e le spiagge della West Coast. Allo stesso modo, l’Italia suscita un senso di sacralità profana. Le meraviglie della Roma imperiale, lo splendore del Rinascimento fiorentino e l’eroismo del Risorgimento lombardo. Ma ciò che rappresenta il nostro Paese meglio di ogni altra cosa è il calore tipicamente napoletano. Pizza and mandolino, basta ciò per simboleggiare una terra sospesa tra i faraglioni di Capri e il gigante addormentato del Vesuvio, dove l’urna di San Gennaro è venerata con lo stesso fervore riservato all'altarino di Maradona. Ma se le meraviglie sfiorano il cielo, l’inferno sta sottoterra. Una discesa dantesca in gironi fatti di rifiuti sanitari, detriti edilizi, sversamenti di sostanze chimiche e fusti radioattivi. E poi ci sono i fuochi, quelle colonne di fumo nero che si alzano nel cielo e si dissolvono nell'aria, in un subdolo nascondino in cui la tana sono i polmoni della gente. Si possono abbassare gli occhi, pensare che quei falò sono provocati da qualche contadino che brucia sterpaglie, ma le statistiche sono quelle e gridano forte: dagli anni ’80 l’incidenza di tumori mortali al fegato è aumentata del 54% in Campania, il cancro alle vie respiratorie ha mietuto l’8% in più di vittime e i tumori al sistema linfatico il 34%. Sono i cittadini, invece, quelli da sempre costretti al silenzio, schiacciati sotto il peso della camorra. Perché l’omertà uccide, ma l’indifferenza – quella che per troppo tempo ha permesso ai clan di cavare miniere d’oro da montagne di rifiuti – distrugge irrimediabilmente.

Tuttavia adesso la musica cambia, e non mi riferisco solo alla perpetua attrazione dei grandi del rock nei confronti di questa terra. I Pink Floyd e, più recentemente, Bruce Springsteen avranno anche infiammato i cuori con le loro canzoni, ma l’ondata del cambiamento la guidano le nuove generazioni. Negli scorsi giorni a marciare senza più nessun timore sono stati in sessantamila, centinaia di bambini e ragazzi tra di loro. Oggi sono proprio loro i protagonisti, cresciuti liberi dall’ombra della vecchia gerarchia sociale che pone il boss come un protettore da non inimicarsi, un Leviatano che non ha bisogno dello scettro. A partire da Ciro, 9 anni, che nel marzo scorso denunciò in un tema – diffuso poi sul web con grande successo – il rogo della Città della Scienza. “Era stata fondata a Bagnoli di Napoli dove c’è molta concentrazione di malvivenza, ma poi è stata fatta lì proprio per spaventare i malviventi che hanno paura della cultura, perché sottrae persone alla criminalità. Poi chi ha bruciato questo posto ha bruciato il materiale ma non le nostre idee”. E che dire di quelle rivelazioni spezzate e pronunciate a bassa voce, come quelle del piccolo Antonio, che ha perso la sorella di dodici anni per un tumore. “Non possiamo andare a giocare al campo di calcio vicino casa, perché ci hanno scaricato tantissime cose. – dichiara ai microfoni delle Iene – Però dobbiamo stare zitti, per paura che chi ha scaricato ci possa fare qualcosa”.

Nelle ultime settimane i vip hanno “adottato” i comuni del Triangolo della Morte, da Marcianise ad Aversa, tuttavia i campani più giovani stanno lanciando un messaggio più forte di ogni campagna di sensibilizzazione. Perché se basta una semplice bonifica per ripulire un terreno dall’amianto, solo una rivoluzione di pensiero potrà estinguere il “puzzo del compromesso morale” di cui parlava il giudice Borsellino. E quando gli unici fumi a levarsi in cielo saranno quelli dei comignoli, allora si avvereranno finalmente le parole che pronunciò Gioacchino Murat a Castellabate, settanta chilometri in linea d’aria dalla Terra dei Fuochi. Qui non si muore!

Samuel Boscarello per cogitoetvolo.it