STASERA CON ParlaMente 18 luglio 2014

lunedì 24 febbraio 2014

FIL, ovvero la misura della felicità

“Il denaro non fa la felicità”. Quante volte lo si dice, un po’ per effettiva convinzione, un po’ storcendo il naso, e magari ribattendo che i soldi non renderanno un uomo felice, ma gli danno senza dubbio una mano considerevole. Eppure l’esperienza di un singolo stato, incastonato tra le montagne orientali come un diamante annerito, può farci ricredere. Il Bhutan è uno dei paesi più poveri in tutta l’Asia, con un PIL pro capite che a malapena raggiunge i duemila dollari. In relazione ad un bhutanese, un cittadino italiano è ricco mediamente sedici volte di più. Il territorio in cui vivono i Drukpa (abitanti della “terra del drago”, si definiscono orgogliosamente) è un lembo di terra soffocato dalla vastità dell’India a sud e della Cina a nord. Uno di quei paesi che probabilmente non prende posto in nessun libro di storia, ma che è pervaso da un senso di spiritualità a metà tra il sacro e il profano, nei monasteri buddisti costruiti a picco sugli strapiombi, che sembrano avvinghiarsi con tutte le forze ai versanti rocciosi delle poderose montagne per non scivolare giù. Sarà per questo che il Bhutan è diventato la patria del GDH, acronimo inglese per Gross National Happiness. In altre parole, Felicità Interna Lorda. È immediato il richiamo a quel PIL che suscita di questi tempi tanta apprensione ed è entrato a far parte della sfera delle piccole preoccupazioni quotidiane (“come va il PIL? Si è abbassato lo spread? Hai già dato un’occhiata al rating?”, ormai sembriamo medici nevrotici che passano le giornate in corsia temendo di perdere i pazienti da un momento all’altro), tanto che il penultimo re Jigme Singye Wangchuck ne ha fatto lo slogan del proprio regno.


Quando nel 1972 prese il potere, il suo paese era ancora una monarchia assoluta retta dal Druk Gyalpo, il Re Drago. La sua missione fu fin da subito quella di modernizzare il paese, puntando sull’istruzione e sui diritti: oggi il Bhutan elegge i propri rappresentanti e ha una Carta costituzionale. Sulla facciata della Scuola di arti tradizionali nella capitale Thimphu, ottantamila anime, si può leggere il concetto fondamentale del pensiero di re Singye: La Felicità Interna Lorda è molto più importante del Prodotto Interno Lordo. E, statistiche alla mano, questa politica appare vincente. La rivista Business Week, che ha stilato uno speciale ranking della “felicità di stato”, incorona la Danimarca, seguita nelle prime dieci posizioni da nazioni come Svizzera, Austria, Islanda e – la sorpresa che non ti aspetti – l’ottava posizione è occupata proprio dal Bhutan. Ben più in alto degli Stati Uniti, ventitreesimi, o di altri colossi come la Cina (82°) e la Russia, addirittura a ridosso delle ultime posizioni. Cosa vuol dire? Semplice: il denaro potrà anche comprare ogni genere di bene materiale, ma avere le casse piene non aumenta affatto il benessere di una nazione. A Thimphu non c’è un aeroporto, le periferie non sono bracci grigi di una gigantesca piovra che ingloba il paesaggio circostante, come le giungle urbane di Città del Messico e Tokyo, o giganteschi agglomerati in espansione inarrestabile. La capitale è immersa in una vallata verde, niente grattacieli e i poli industriali sono tutti concentrati in un unico quartiere. Persino i semafori sono stati eliminati, perché troppo “impersonali”, mentre nelle scuole si insegna la ricchezza dell’identità culturale bhutanese e le case devono per legge essere decorate secondo la tradizione.

Nella FIL sono racchiusi concetti che oggi noi stiamo appena scoprendo. Il rispetto per la natura, l’importanza dell’istruzione e del futuro dei giovani, la conservazione dei diritti. Questo è il progresso di cui abbiamo bisogno per vincere la crisi che stiamo attraversando, di ideali prima che economica. Immaginate un’Italia più felice, vale a dire in cui sia premiata l’onestà e disprezzata la corruzione, in cui l’integrazione prevalga sulla ghettizzazione (ricordando che siamo stati anche noi migranti) e l’uguaglianza abbia la meglio sull’ignoranza. Ci siete riusciti? Bene. Adesso rimbocchiamoci le maniche e cominciamo a fare sul serio, perché tocca a noi.

Samuel Boscarello per Cogitoetvolo