STASERA CON ParlaMente 18 luglio 2014

domenica 20 aprile 2014

Hasta Bergoglio siempre: la Chiesa (non) si rinnova

Da un anno a questa parte i canali d'informazione sono invasi da un personaggio il cui nome è diventato, per forza di cose, di grande familiarità. Il giudizio è controverso: certi vedono nel suo pensiero una grande forza di cambiamento, alcuni si affidano alle sue parole per difendere le istanze reazionarie, mentre altri criticano aspramente lui e il suo seguito. No, non mi riferisco a Beppe Grillo, ma a Papa Francesco. La sua figura è stata oggetto di un singolare caso di idealizzazione in vita, durante un intervallo di tempo particolarmente breve.

L'aspetto semplice, le forti invettive rivolte ai potenti, le doti da comunicatore hanno dato luogo a due raffigurazioni. Da una parte l'uomo umile e determinato al cambiamento, vicino ai poveri e ostile al clero ultra-conservatore, uno che abbatte i limiti della dottrina sociale cattolica e (udite, udite!) apre spiragli alle battaglie progressiste sui diritti civili. Dall'altra la guida carismatica che allo stesso tempo incarna il messaggio evangelico e difende a spada tratta il tradizionale approccio della Chiesa riguardo a politica e società, ossia uno scandalizzato “no” ad ogni cosa che possa intaccarne il rigido moralismo. Due interpretazioni praticamente opposte, nonché totalmente sbagliate.

Ciò che è accaduto tra il 28 febbraio e il 13 marzo 2013 non è un semplice passaggio di consegne, ma un ribaltone manageriale. Le esigenze del pubblico sono cambiate molto negli ultimi anni, così la Chiesa, come ogni azienda multinazionale che si rispetti, ha provveduto a riformulare il target. Via il vecchio teologo incartato, solare come la Merkel in una giornata di maltempo e pressoché incapace di gestire maggiordomi fedifraghi e preti dalle mani lunghe, con il rischio di un'emorragia di fedeli. Meglio lasciare spazio ad un brav'uomo che ha vissuto tra la gente per la gente, dalla personalità così telegenica da sembrare il nonno di Matteo Renzi. Tralasciando le interpretazioni mistiche su quanto l'ispirazione divina abbia lavorato bene dentro la Cappella Sistina, si potrebbe pensare che questo sia l'atto più rappresentativo di una Chiesa che vuole finalmente cambiare se stessa dall'interno. Ebbene, si tratta solo di un tremante velo di Maya che aspetta di essere squarciato.

Se l'Europa, cuore pulsante del potere pontificio da due millenni, è oggi insidiata dalle forze oscure che la trascinano verso l'abisso liberal-demoniaco, allora bisogna mutare l'obiettivo della gerarchia vaticana. Si mette al timone della barca un uomo coraggioso che ispira fiducia, con il compito di mandare alla chiglia i marinai scapestrati e ricevere i complimenti dei pescatori appena rientrato in porto. Ma la verità è che quei lupi di mare non saranno mai disciplinati: i potenti in tonaca vogliono solo un cambiamento di facciata, una rivoluzione che lasci tutto com'è. E il complice di tutto ciò, consapevolmente o meno, è proprio Papa Francesco. Dalla sua elezione hanno tutti cercato di portarlo dalla propria parte (il M5S, per non sbagliare, lo ha subito arruolato in truppa), così adesso va forte l'immagine di un papa “più a sinistra della sinistra”. Intanto è miracolosamente scomparsa la pedofilia negli ambienti ecclesiastici, i cardinali pascià si sono trasformati in poveri fraticelli e le lotte di potere sono solo un ricordo, almeno stando a quanto trapela dai media. Sarà un caso?

Si mettano il cuore in pace i fan di Ernesto “Che” Bergoglio: ogni volta che si parla di “aperture”, ecco la provvidenziale conferenza stampa di padre Lombardi, interessante ed animata come un congresso dell'Udc, in cui si chiarifica tutto, con il sottofondo gongolante dei parteggiatori diFrancesco Franco. Insomma, è evidente che il papa non indossa né l'eskimo né la divisa del Caudillo, ma gli innocenti indumenti bianchi di chi con un gran sorriso si ostina a difendere una Verità (il maiuscolo è d'obbligo, mi raccomando) che va stretta al mondo. Eppure sarebbe un gesto degno di grande ammirazione, anche da parte dei non credenti, se un giorno il capo della Chiesa si affacciasse al balcone e cominciasse a parlare di contraccezione come mezzo di lotta all'Aids (andatelo a spiegare ai missionari in Africa), di universalità dell'amore tra gli esseri umani indipendentemente dal loro genere, di rivoluzione delle idee da accompagnare al progresso scientifico. Bene, con queste parole mi prenoto un posto nella prima capsula criogenica in grado di ibernarmi fino al 3014. Forse Francesco XV esaudirà i miei desideri.

Samuel Boscarello per ParlaMente

martedì 15 aprile 2014

Le donne siciliane ce l'hanno fatta (nonostante tutto)

Pavia e Caltagirone non hanno molto in comune. L’una adagiata sul Ticino, meta accogliente per universitari e pellegrini sulla via Francigena. L’altra incastonata tra i monti Erei, barocca nell’aspetto e bluesnella vita di tutti i giorni. Ma è da queste due città, separate da quasi mille chilometri, che passa un’iniziativa destinata a fare il giro della penisola. “Donne che ce l’hanno fatta” è il suo nome, il lavoro al femminile la sua vocazione. A realizzare l’incontro è l’associazione Adessodonne 3.0 insieme a Sportello Donne, un manipolo di signore e signorine a cui, sentendo le loro storie, non si addice la tradizionale definizione di “gentil sesso”. Anzi, proprio per rovesciare gli stereotipi di genere, che con la connivenza di un sorridente perbenismo hanno accompagnato fino ad oggi la società italiana, le donne siciliane sono qui.

Chiamate a turno dall’eclettica moderatrice-organizzatrice Giovanna Seminara, si alzano e raccontano le loro storie, romanzi di vita reale dal finale thriller. C’è chi afferma di potersi sentire orgogliosamente “una che ce l’ha fatta”, altre preferiscono il basso profilo di chi cerca di farcela. Va bene così: a forza di camminare a testa bassa si arriva sani e salvi a destinazione. Il premio consiste in un attestato di merito con una poesia di Fabio Gagliardi scritta in calce, senza troppi clamori. In fondo si capisce subito che, se si è in cerca di auto-celebrazioni sguaiate, questo è il posto meno indicato. Basta ascoltare le testimonianze di chi ha dovuto affrontare gravissimi problemi familiari, ostacoli sul campo lavorativo e soprattutto quella fastidiosa predisposizione a rifiutare l’emancipazione sociale femminile. Siamo nella regione in cui solo una donna su tre trova lavoro, nel territorio in cui il culto del passato si trasforma in rimpianto e scoramento per il presente. Ciò non aiuta affatto.

Non è un caso che proprio a Caltagirone si premino gli ingegni femminili: la zona, sotto il costante cono d’ombra di Catania e dell’hinterland etneo, si trova in un acquitrino di decadenza politica ed economica. Verlaine ci si tufferebbe, i commercianti affogano. Così diventa un merito per una ceramista aver inventato un innovativo stile decorativo, anche quando la crisi dell’artigianato locale, un tempo fiore all’occhiello del paese, mette in pericolo la stabilità lavorativa dei dipendenti di una piccola impresa a conduzione familiare. E ancora donne sindacaliste, insegnanti, missionarie (Suor Olga, che della sua Colombia conserva la cadenza ispanica e i modi solari, come possono esserlo solo quelli dei popoli sub-tropicali). Si raccontano le siciliane impegnate in politica, come Alessandra Foti, ex vicesindaco della città e candidata per il centro-sinistra alle ultime amministrative, e persino la studentessa liceale Concetta Fargetta, che non le manda a dire e afferma di voler inseguire il sogno di diventare procuratore generale, citando Oriana Fallaci nel passo del “mondo fabbricato dagli uomini per gli uomini” e mettendo al tappeto la platea con il suo fare conciso e determinato.

Maggioranza rosa tra le poltrone, ma non assoluta ed è già qualcosa: segno che anche il genere maschile sta comprendendo l’importanza dell’uguaglianza tra gli individui della società, in cui è necessario che si infranga la cappa di piombo della distinzione tra l’uomo fabbro del suo destino e la donna-angelo (del focolare). Un Paese si definisce civile solo se promuove il merito, senza se e senza ma. Per raggiungere l’agognato obiettivo su cui si sprecano tante parole, ma ad oggi pochi fatti, è obbligatorio rovesciare quella mistura di ipocrisia e pressappochismo che porta a due conclusioni ugualmente pericolose: da una parte i ritornelli del “cosa c’è di male?”, patetiche giustificazioni dello status quo, dall’altra la convinzione che rimboccarsi le maniche spetti sempre agli altri, interpretando molto arbitrariamente l’ironia di Gaber (“la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente!”). Cari uomini e donne d’Italia, solo uniti possiamo concretizzare i panegirici sulla libertà. Allora sì che ce l’avremo fatta.

(Foto: Giovanna Seminara)

Samuel Boscarello per Ateniesi