STASERA CON ParlaMente 18 luglio 2014

martedì 31 dicembre 2013

I Dentici, talenti folk dalla Sicilia: "Cantiamo la ribellione al potente"

Oggi vi propongo il primo singolo inedito de I Dentici, giovanissimo gruppo folk siciliano composto da Simone e Luca Riillo: La Ballata di Sandro.



E' possibile scaricare gratuitamente il brano qui: La Ballata di Sandro - Download

Questa è la mia intervista a I Dentici, realizzata per Il Sette e Mezzo Magazine:


I Dentici, nomen omen: due gemelli, Simone e Luca Riillo, con la passione per la chitarra acustica e il folk italiano, nati e cresciuti nella cittadina in provincia di Caltanisetta, Niscemi. I Dentici, il nome deriva, dalla battuta del fratello maggiore che durante una cena, vedendo un dentice a forno, esclama ai fratelli:”Ma voi siete I-Dentici!". Nascono agli inizi di luglio 2012. Di strada ne hanno ancora tanta da fare, ma dalla loro parte hanno il talento e l’entusiasmo. Dopo essersi fatti conoscere riproponendo i maggiori successi di De André e del cantautore Alessandro Mannarino, adesso si cimentano nella produzione di inediti. “Il tema dei nostri pezzi è la ricerca della libertà, la ribellione al potente”.

 I Dentici sono anche su Facebook!

lunedì 30 dicembre 2013

Storie di immigrati, storie di europei: il Lampedusa Hamburg FC

L’anno si chiude e ogni tifoso di calcio che si rispetti resta in trepidante attesa del giro di boa. Anno nuovo, squadra nuova. Magari anche la classifica cambia, con il mercato in apertura. Un paio di acquisti freschi sotto l’albero, preferibilmente un bomber e un giovane di belle speranze. Ma non solo: guai a dimenticare la Champions League! D’altra parte è adesso che cominciano le sfide stellari tra le grandi d’Europa, e che nomi. Messi e Ronaldo, Balotelli e Gotze, Gibri e Bright. Un momento. Cosa ci fanno due perfetti sconosciuti tra le stelle del firmamento pallonaro? Eppure Bright è un giocatore estremamente duttile, solido centrocampista e insidia delle difese avversarie quando gioca in attacco. Gibri ricopre il ruolo di mezzala, è uno dei più giovani della sua squadra e sogna di diventare come Asamoah. Anche lui, al pari dell’esterno in forza alla Juventus, è ghanese, ma non è stato un osservatore europeo a farlo approdare al calcio. La sua strada è passata dal Sahara, poi il Canale di Sicilia rischiando la vita per giorni, fino all’approdo a Lampedusa. Cinquecento euro assegnati dallo stato italiano e via, senza tante cerimonie, in balia di sé stesso con le tasche semivuote. Una lunga odissea che dal Mediterraneo porta fino all’estremo nord della Germania, ad Amburgo. Ben lontano dalla Jungfernstieg e i suoi negozi di alta moda dove si consumano le esistenze di ricchi e turisti, vale a dire nel quartiere di St. Pauli, un fazzoletto di terra affacciato sull’Elba, rifugio di operai che a fine turno riempiono di chiacchiericcio i pub odorosi di birra e fritto stantio. Le bettole vicino al porto che accolgono i marinai, il distretto a luci rosse di Reeperbahn. Un intreccio di suggestioni potenti fatti di presente e passato, per esempio quello di quattro ragazzi inglesi che all’inizio degli anni Sessanta suonarono, da semisconosciuti, nei locali da suburra prima di divenire quei Fab Four che hanno conquistato il mondo con le loro canzoni.

È il futuro quello che manca, in una delle zone più economicamente depresse della Germania. Ciononostante è proprio da qui che un gruppo di africani scampati a fame, guerra e persecuzioni ideologiche si ritrova a decidere, alle porte dell’estate del 2013, di indossare gli scarpini e scendere sul prato verde, se non altro per dare un nuovo senso alle proprie vite. “I documenti europei che ci hanno dato in Italia per il momento ci permettono di restare qui, – spiega Affo Tchassei ai microfoni di Repubblica – ma non di cercare un lavoro, avere assicurazione sanitaria o pensionistica, diritto alla scuola per i nostri figli”. Così i ragazzi, sotto la guida del mister Takyi Stephen, fondano una vera e propria squadra. Il nome? Lampedusa Hamburg FC, cristallino come il riflesso del sole sul mare dell’isola e profondo come gli abissi che di migranti ne hanno inghiottiti troppi, perché l’Europa rimanga sorda. Eppure ancora oggi permane la convinzione che si tratti di un problema locale, alla pari di un fastidioso inconveniente che va liquidato nel modo più rapido possibile: ebbene, oltre i calcoli politici e ragionieristici ci sono delle vite che cercano di salvarsi da una condanna sicura in paesi in cui ogni diritto è calpestato. Gibri, Bright, Affo e i loro compagni non si perdono d’animo, nemmeno quando il sindaco vieta al pastore Sieghard Wilm di ospitare la squadra in un container nel giardino della chiesa di St. Pauli. Così il Lampedusa Hamburg si trasferisce dentro la chiesa, dividendo le giornate tra allenamenti e partite amichevoli con la prestigiosa squadra del quartiere, l’FC St. Pauli. La Nave Corsara – come viene affettuosamente soprannominato il club dai tifosi – naviga oggi in acque limpide nella Serie B tedesca, lottando per la promozione. Per questo motivo quando, la formazione del coach Stephen sconfigge di fronte ad uno stadio gremito per 5-4 i ben più quotati padroni di casa, è festa. Nulla in palio, si tratta solo di un’amichevole, ma la compagine africana è cosciente di aver vinto qualcosa di più. Sarà che quei cinque gol sono stati messi a segno con la forza della speranza o con la voglia di libertà, ma da allora ogni mercoledì a St. Pauli sfilano cortei per l’integrazione degli immigrati. Forza LampedusHamburg allora: perché ogni loro successo è, almeno un po’, anche nostro.

Samuel Boscarello per cogitoetvolo.it

lunedì 18 novembre 2013

Grande Fratello? Preferisco il futuro

È possibile riscontrare una curiosa analogia tra un certo settore del mondo dello spettacolo e l’allevamento. Immaginate un’azienda avicola che seleziona tra decine e decine di polli un ristretto numero di esemplari, che vengono chiusi in un’aia e lasciati lì a beccarsi l’un l’altro, così mentre sono impegnati a gonfiare le piume si fanno rubare tutte le uova dall’allevatore (e se ce n’è bisogno, anche qualcuno di loro fa un viaggio di sola andata verso la rosticceria). L’aspetto etologicamente paradossale della storia è che per i polli in questione razzolare in quella stia rappresenta il sogno della loro vita e, a pensarci bene, è questo il segreto del Grande Fratello.

Nel Novecento queste due parole saranno anche state il sunto del totalitarismo senza via d’uscita prospettato da Orwell; ma è bastato un programma televisivo in prima serata, dalla formula nemmeno tanto originale, per ribaltare l’accezione del termine. Chiedete alle decine di aspiranti concorrenti per conferma. Vi si parlerà della strada per il successo, dell’occasione della vita e del mondo magico del teleschermo. Come se in dodici edizioni da quel prefabbricato tanto ambito siano usciti gli eredi di David Letterman e Oprah Winfrey. In fin dei conti provare non costa nulla, e se puoi contare su una biografia originale o lacrimevole (meglio entrambi, con l’aggiunta di addominali esplosivi oppure vari quintali di silicone in corpo) hai una marcia in più.

Non è mai mancato tra i fortunati prescelti il ragazzo rapito da bambino, il provincialetto con l’America in testa, la bellona “ocolinga”, tanto per restare in tema orwelliano. Per questo non può che far gola la storia di un vu’ cumprà che si laurea in Ingegneria. Chissà la faccia che avranno fatto i produttori quando hanno incassato il netto “no” di Rachid Kadiri Abdelmoula. Ventisette anni, ne ha passati sedici tra le strade di Torino a chiedere l’elemosina o a vendere fazzoletti e accendini. Una lotta quotidiana, la speranza di avere abbastanza spiccioli a sera da poter entrare in una bottega e comprare un panino. Rachid passa l’adolescenza in un istituto tecnico, l’Itis “Avogadro”: uno dei suoi professori ha l’abitudine di dire “ciò che vale costa caro”. Probabilmente l’insegnante non sapeva che la sua espressione sarebbe stata la massima di quello studente marocchino, uno di quelli di cui si parla abbassando la voce e con un’aria contrita. “Ha difficoltà economiche, non può permettersi la gita di fine anno” e tutte quelle frasi sussurrate che fanno da fondamento alle chiacchiere di quartiere. Così Rachid si diploma e spiazza tutti, entrando al Politecnico. Ma le tasse da pagare sono tante, troppe perché un semplice vu’ cumprà possa dire addio alla sua scatola da esposizione per calare la testa sui libri. Così ogni pacchetto di fazzoletti venduto è un passo più vicino alla meta, le notti si allungano ma gli occhi non devono cedere al sonno. Ci sono le sessioni d’esame da affrontare, infine la laurea. Rachid ha ventisei anni e la sua storia, completa di fotografia di famiglia, finisce sui giornali. “Tanti sacrifici, sorriso da bravo ragazzo e un nome facilmente memorizzabile: pensate che figurone farà questo nel salotto della D’Urso”. Sono sicuro che avranno pensato questo gli addetti al casting del Gf, venendo a conoscenza della sua storia. Eppure almeno per una volta sono rimasti a bocca asciutta. “Preferisco progettare palazzi e il mio futuro di ragazzo normale, ex «vu’ cumprà», con un lavoro vero. – scrive Rachid su La Stampa.it – Perché chi tiene duro e fa sacrifici, un lavoro lo trova”. E infatti per lui è arrivato. Dopo aver ricevuto i complimenti del ministro Kyenge in persona, ha ricevuto tre offerte, tra cui quella di un colloquio con un’importante azienda piemontese. E se può suscitare un certo scoramento nel rilevare che in Italia un ragazzo debba chiedere denaro ai passanti per pagarsi gli studi, RKA è sicuro che non sarà sempre così: “Le passeggiate da vu’ cumprà mi hanno insegnato che per ottenere qualcosa non devi stare mai fermo. La storia è ciclica, dopo le discese ci sono le crescite economiche”.

Avanti, gente: il futuro è nostro. E si trova nelle nostre idee, non in un confessionale.

Samuel Boscarello per cogitoetvolo.it

lunedì 4 novembre 2013

Qui non si muore!

Ogni nazione ha la sua personale immagine all'estero, quell'essenza speciale che fa sognare ed evoca le sensazioni più forti. Chiedetemi cosa mi viene in mente quando penso agli Stati Uniti. Vi risponderò mostrandovi lo skyline di New York, i polverosi paesi del sud che hanno ispirato il mito del Far West e le spiagge della West Coast. Allo stesso modo, l’Italia suscita un senso di sacralità profana. Le meraviglie della Roma imperiale, lo splendore del Rinascimento fiorentino e l’eroismo del Risorgimento lombardo. Ma ciò che rappresenta il nostro Paese meglio di ogni altra cosa è il calore tipicamente napoletano. Pizza and mandolino, basta ciò per simboleggiare una terra sospesa tra i faraglioni di Capri e il gigante addormentato del Vesuvio, dove l’urna di San Gennaro è venerata con lo stesso fervore riservato all'altarino di Maradona. Ma se le meraviglie sfiorano il cielo, l’inferno sta sottoterra. Una discesa dantesca in gironi fatti di rifiuti sanitari, detriti edilizi, sversamenti di sostanze chimiche e fusti radioattivi. E poi ci sono i fuochi, quelle colonne di fumo nero che si alzano nel cielo e si dissolvono nell'aria, in un subdolo nascondino in cui la tana sono i polmoni della gente. Si possono abbassare gli occhi, pensare che quei falò sono provocati da qualche contadino che brucia sterpaglie, ma le statistiche sono quelle e gridano forte: dagli anni ’80 l’incidenza di tumori mortali al fegato è aumentata del 54% in Campania, il cancro alle vie respiratorie ha mietuto l’8% in più di vittime e i tumori al sistema linfatico il 34%. Sono i cittadini, invece, quelli da sempre costretti al silenzio, schiacciati sotto il peso della camorra. Perché l’omertà uccide, ma l’indifferenza – quella che per troppo tempo ha permesso ai clan di cavare miniere d’oro da montagne di rifiuti – distrugge irrimediabilmente.

Tuttavia adesso la musica cambia, e non mi riferisco solo alla perpetua attrazione dei grandi del rock nei confronti di questa terra. I Pink Floyd e, più recentemente, Bruce Springsteen avranno anche infiammato i cuori con le loro canzoni, ma l’ondata del cambiamento la guidano le nuove generazioni. Negli scorsi giorni a marciare senza più nessun timore sono stati in sessantamila, centinaia di bambini e ragazzi tra di loro. Oggi sono proprio loro i protagonisti, cresciuti liberi dall’ombra della vecchia gerarchia sociale che pone il boss come un protettore da non inimicarsi, un Leviatano che non ha bisogno dello scettro. A partire da Ciro, 9 anni, che nel marzo scorso denunciò in un tema – diffuso poi sul web con grande successo – il rogo della Città della Scienza. “Era stata fondata a Bagnoli di Napoli dove c’è molta concentrazione di malvivenza, ma poi è stata fatta lì proprio per spaventare i malviventi che hanno paura della cultura, perché sottrae persone alla criminalità. Poi chi ha bruciato questo posto ha bruciato il materiale ma non le nostre idee”. E che dire di quelle rivelazioni spezzate e pronunciate a bassa voce, come quelle del piccolo Antonio, che ha perso la sorella di dodici anni per un tumore. “Non possiamo andare a giocare al campo di calcio vicino casa, perché ci hanno scaricato tantissime cose. – dichiara ai microfoni delle Iene – Però dobbiamo stare zitti, per paura che chi ha scaricato ci possa fare qualcosa”.

Nelle ultime settimane i vip hanno “adottato” i comuni del Triangolo della Morte, da Marcianise ad Aversa, tuttavia i campani più giovani stanno lanciando un messaggio più forte di ogni campagna di sensibilizzazione. Perché se basta una semplice bonifica per ripulire un terreno dall’amianto, solo una rivoluzione di pensiero potrà estinguere il “puzzo del compromesso morale” di cui parlava il giudice Borsellino. E quando gli unici fumi a levarsi in cielo saranno quelli dei comignoli, allora si avvereranno finalmente le parole che pronunciò Gioacchino Murat a Castellabate, settanta chilometri in linea d’aria dalla Terra dei Fuochi. Qui non si muore!

Samuel Boscarello per cogitoetvolo.it

martedì 8 ottobre 2013

Mobbing sessuale: sindacati, datevi una mossa

Secondo dati diffusi nel 2012, 840 mila donne hanno subito ricatti sessuali sul posto di lavoro. Solo il 18% di loro ne ha parlato con qualcuno, di solito i colleghi. I sindacati, che dovrebbero tutelare i lavoratori e combattere contro questa palese violazione dell'Art. 4 della Costituzione, guardano altrove. Ecco di cosa si occupano invece di affrontare il problema...



giovedì 26 settembre 2013

Quel “gap” tra moda e ossessione

Il Thigh-Gap non è un numero da calcio freestyle, né un cantone della nota città provenzale. In realtà dalle parti delle Hautes-Alpes lo chiamano “espace entres le cuisses”, mentre in Italia si tende come sempre ad assimilare il termine anglofono. Si tratta di una moda diffusasi come un virus, web e televisione le vie di diffusione. Ma stavolta non ci troviamo di fronte ad una semplice tendenza, le cui conseguenze si limitano ad un rinnovo repentino degli scaffali dei negozi e a qualche capriccio di troppo. Il Thigh-Gap rischia di diventare uno stile di vita, un obiettivo da raggiungere a costo di sacrificare la propria salute in nome di quel “varco tra le cosce” che rappresenta un nuovo canone di bellezza femminile. Niente più novanta-sessanta-novanta, i centimetri che contano sono quelli che separano una gamba dall’altra. Nessun punto di contatto al di sopra dei piedi, nemmeno dove sarebbe più naturale, vale a dire all’altezza delle ginocchia.
Su Internet compaiono i trucchi più disparati per ottenere quel tanto sospirato varco, dalle solite diete miracolose a rimedi drastici come bere litri di acqua al giorno per non sentire i morsi della fame. Così il piccolo spazio diventa una porta di servizio per l’anoressia, passando attraverso un’ossessione verso quello che fino a pochi anni fa era considerato alla stregua di un difetto da correggere. Vallo a spiegare alle aspiranti modelle che si tratta perlopiù di una questione di morfologia, dovuta ad un bacino più largo e non ad una formula segreta che le cultrici del Thigh-Gap ricercano come se fosse il Sacro Graal. Ma non si tratta solo di una debilitante sfida con sé stesse, in quanto il terreno della competizione sono i social network. Le armi, fotografie di gambe tese e magre come arbusti secchi che vengono sfoderate. Inutile dire che maggiore è la porzione di sfondo che si riesce a scorgere tra le cosce, meglio è. L’elemento inquietante è la grande influenza da parte dell’opinione mediatica che le “addicter” subiscono, quella mistificazione della bellezza genuina quanto una sagoma di cartone.
Forse la vera ossessione è quella di dare un’unità di misura ad ogni cosa, in un mondo in cui persino l’intelligenza e gli applausi sono definiti con matematica precisione da psicologi e showman. Ma assegnare un numero all’armonia fisica è impossibile: sarà per questo che la ricerca di nuovi modelli da imitare ci perseguita dai tempi di Fidia, inducendoci a trovare forme sempre più lontane dalla realtà rappresentate da taglie scheletriche e tacche nere su un metro da sartoria. La grazia è la luce del sole riflessa dalle iridi degli occhi in un giorno d’agosto, il lieve rossore che colora le guance pallide al calore di un camino nelle notti invernali. La bellezza è un gioco di colori, odori e sensazioni; non una equazione tra centimetri, litri d’acqua e chilogrammi su una bilancia. Perché la gioia si sprigiona nell’atto dell’abbracciare e nel contatto con la pelle morbida, non stringendo a sé un mucchio d’ossa su cui è stato gettato un telo grinzoso color carne. Difficile da capire, quando il massimo del coraggio anticonformista consiste nell’aforisma La curva più bella di una donna è il suo sorriso, ripetuto a tal punto da diventare profondo quanto una televendita di bigiotteria. Lasciate perdere, adoratrici di Claudia Schiffer, la ricerca della perfezione plastica. Non la troverete tra le mani di un chirurgo, né nel riflesso di uno specchio. Cercatela piuttosto in un neo, una cicatrice sulla pelle o un dente non allineato. Lo sanno bene i numismatici, che la moneta recante un’imperfezione vale mille volte l’immacolato originale. La vera bellezza, quella dell’anima, non va in passerella.
Samuel Boscarello per cogitoetvolo.it

venerdì 20 settembre 2013

Il paradosso italiano

Mentre in Italia ogni giorno ci vengono propinati dilemmi di vitale importanza come la decadenza di Berlusconi (con tanto di videomessaggio da parte del pregiudicato) e il Congresso del Pd, nel silenzio dei media prosegue in Grecia la protesta di migliaia di lavoratori pubblici. Migliaia di dipendenti statali ed insegnanti si sono uniti ai cortei contro l'austerità che sta svenando il paese, mentre si susseguono scioperi da parte di ogni fascia di lavoratori.

Alle proteste per l'aggravarsi della situazione economica in una nazione in cui un cittadino su quattro è disoccupato, si aggiunge lo sdegno per l'omicidio di un cantante di sinistra, conosciuto come Killah P, da parte di un militante del partito di estrema destra Alba Dorata. Nel frattempo qui è più importante ascoltare i beceri spot elettorali di un condannato e le ideologie omofobe e discriminatorie dell'estrema destra vengono graziate dal subemendamento Gitti: questo è il paradosso italiano.

giovedì 12 settembre 2013

Vogliamo la verità sull'11 settembre


Dodici anni. Tanto è passato da quell'11 settembre 2001 che tutti quanti ricordiamo, soprattutto in questo periodo. Allora avevo cinque anni, e quando vidi le immagini trasmesse dalle televisioni capii per la prima volta nella mia vita che è possibile sacrificare migliaia di vite umane per scopo ben preciso. Quando si è bambini è facile dire chi siano i buoni e chi i cattivi, d'altronde di fronte a tragedie del genere tutti tornano ad essere un po' bambini, così in quel momento tutto sembrò limpido come il sole. Tralasciando il popolo, che è sempre la vera vittima di questi atti, i buoni erano gli Stati Uniti. I cattivi i talebani, questa entità quasi surreale.

Tuttavia oggi non possiamo sostenere ciò con la stessa sicurezza. Abbiamo bisogno di spiegazioni. Ci spieghino perché dal punto di vista militare l'11 settembre è stato un pretesto per invadere l'Afghanistan, che tra l'altro aveva anche condannato la strage. Ci spieghino anche qual è il vero legame che unisce George W. Bush e la famiglia Bin Laden sin dai tempi della Arbusto Energy, la società petrolifera di Bush. Già che ci siamo, ci spieghino anche cosa ci sta dietro quei due misteriosi incidenti aerei in cui persero la vita, diversi anni prima dell'attacco alle Twin Towers, prima il padre di Osama Bin Laden, poi il fratellastro. E infine ci spieghino qual è il reale movente della strage. Non è possibile uccidere in questo modo solo per la religione o l'ideologia. Anche le Crociate vennero combattute "per la religione" e sappiamo tutti quanti com'è andata.


Vorrei concludere con una frase di David Letterman, conduttore televisivo in questo bellissimo paese, gli Stati Uniti d'America, deturpato dalle smanie di onnipotenza dei governanti. "Dovessimo anche vivere per altri mille anni, riusciremmo mai a trovarci un senso?". A voi la risposta.

venerdì 6 settembre 2013

CreepyCasta, Tutto il peggio della classe politica: Episodio 1- Effetto B.

Questo è CreepyCasta, il nuovo programma che ogni mese ci condurrà attraverso il peggio di ciò che combinano i politici, pagati profumatamente da noi cittadini. Agosto è stato un mese di ferie, ma nonostante ciò i nostri parlamentari si sono dati da fare per fornirci tanto materiale. I due personaggi del mese: Silvio Berlusconi e Laura Boldrini.

Le CreepyCasta di questo episodio:

English is an optional: 1:22

Pannella montata: 1:54

Il dilemma della Bindi: 2:48

Ordini dall'alto: 3:23

Grillini & Boldrini: 4:43

"Magnateve tutto!": 7:24


martedì 3 settembre 2013

Cari teppisti, il calcio non è vostro!

Quasi stentavamo a crederci. Campioni che tornano in Italia, tifosi entusiasti e due giornate di campionato trascinanti, l'ultima delle quali ci ha regalato ben 43 gol. Persino gli stadi cominciavano a riempirsi, e la turbolenta estate passata tra scivoloni internazionali ed insulti razzisti sembrava lontana. Ma invece no, ecco che un manipolo di ragazzotti decide di rovinare tutto. Roma-Verona doveva essere una partita poetica tra la città di Catullo e quella (spirituale, s'intende) di Shakespeare, ma non c'è spazio per Lesbia, né per Romeo e Giulietta. Piuttosto, sembra di assistere ad una versione delirante del duello tra Tebaldo e Mercuzio. Prima della gara i tafferugli, le cariche della polizia sotto la Curva Nord e le bombe carta trovate addosso a uno degli allegri compari. Otto steward contusi e un supporter veronese denunciato per aggressione, ma il peggio si verifica dopo la partita. Si parla di “cani sciolti”, pseudo-sostenitori giallorossi che prendono a sprangate e sassate il pullman della squadra di Mandorlini.

Tutto ciò non ha nulla a che fare con il calcio. Non avrebbe alcun senso, dopo una netta vittoria per 3-0 e il primato in classifica, dunque smettiamola di chiamarli “tifosi”. Sono solamente teppisti di periferia che traggono forza dal gruppo, sanno come fare chiasso e sono soprattutto coscienti di cavarsela con poco. Daspo, tessera del tifoso e Away Card sono inutili, quando non addirittura controproducenti. A questo proposito è utile ricordare la proposta avanzata dal giornalista Beppe Severgnini qualche anno fa: lavori socialmente utili per i vandali da stadio e sorveglianza di responsabilità delle società. Se si resta ciechi e sordi di fronte ad un problema che da troppi anni si ripete, allora non bisogna meravigliarsi delle famiglie in via d'estinzione nell'habitat degli stadi, né degli spalti vuoti. Il calcio che conosco io è Giuseppe Rossi che rinasce in viola e segna una doppietta al Genoa, i tifosi romanisti (quelli veri) che ridono come bambini vedendo una squadra finalmente vincente con Garcia alla guida. Ma uno speciale plauso va ai milanisti, a secco di grandi arrivi e costretti ad incassare anche l'addio di Boateng. La gioia della piazza non è diretta al marziano Gomez o al venusiano Tevez, bensì a Ricardo Kakà. Trentun anni, scartato da Mourinho, giudicato “bollito” dalla tifoseria madridista. Una meteora che si schianta sulla Luna, al massimo. Torna per riconquistare ciò che ha perduto, in campo e fuori, e ha tutto l'affetto del pubblico. Perché, chi lo direbbe, a volte il Diavolo è più sentimentale di quanto sembri. Aspettiamo di divertirci al derby con i due Ricky, perché questo è il calcio che vogliamo.

Samuel Boscarello per ilcalcio24.it

lunedì 2 settembre 2013

Perché dire no all'intervento militare in Siria

Sappiamo tutti quali sono gli interessi degli Stati Uniti in questo conflitto, sappiamo che non si tratterà di una guerra lampo, come vogliono farci credere. Sappiamo anche che Obama, Premio Nobel per la Pace che vuole la guerra, non si ritirerà finché non avrà posseduto anche questo stato nello scacchiere mediorientale. Loro ci chiederanno di utilizzare le basi sul nostro territorio, di intervenire al loro fianco. Ecco, noi ci siamo sempre inchinati agli Usa grazie ai nostri grandi politici, per l'ultima volta in ordine di tempo con il Muos di Niscemi. Quindi da cittadino chiedo di non renderci ancora più ridicoli agli occhi del mondo. L'Italia è uno stato che ripudia la guerra, noi ripudiamo la guerra! Per cui io non voglio che la mia nazione vada a esportare la democrazia in forma di missili in un'altra parte del mondo, a provocare perdite tra i militari e tra i civili.

Se anche tu sei d'accordo, rendi virale questo video: realizza il tuo messaggio, intitolalo come questo cambiando il mio nome con il tuo, e diffondilo sul web. Insomma: scateniamo l'inferno. Chissà, magari qualcosa potrebbe cambiare.



giovedì 8 agosto 2013

Real e Barça, guai in vista: spendono milioni ma sono "onlus"

Il Real Madrid sta per portare a termine l'acquisto più costoso della storia del calcio, quello di Gareth Bale. 120 milioni di euro a confronto dei quali impallidisce Cristiano Ronaldo, per cui vennero spesi "solo" 94 milioni. Mira leggermente più in basso il Barcellona, ma la differenza non è poi tanta: 57 milioni, che si aggiungono ai faraonici contratti dei calciatori blaugrana, su cui spicca quello di Messi. La Pulce guadagna 16 milioni l'anno, qualcosa in più rispetto al rivale di sempre Cristiano Ronaldo, che si assesta intorno a quota 12 milioni. Alle principali spese effettuate nel mercato bisogna poi sommare altre voci, come il riscatto di Bojan per il Barça (13 milioni) e gli acquisti di Izco eIllarramendi per le merengues (60 milioni in totale). Il tutto senza nemmeno recuperare la spesa con le cessioni; producendo un bilancio sempre in rosso, che però sembra non pesare assolutamente sulle possibilità economiche dei due club. Dove sta il trucco? Real e Barcellona sono delle organizzazioni non a scopo di lucro. Il loro status di onlus assicura importanti privilegi quali sgravi fiscali non indifferenti. 

E' stato calcolato che le due società versano tasse solo per il 25%, a fronte del 35% che una comune impresa spagnola paga al fisco. Il giornale inglese The Independent rivela che la Commissione Europea sta già lavorando per risolvere la questione, obbligando entrambi i club a cambiare la loro denominazione sociale in Sociedades Anonimas Deportivas, società di capitali simili alle nostre Srl. La radice del problema è da ricercarsi nel 1990, quando tutti i club professionistici spagnoli vennero convertiti in Sad ad eccezione di Atletico Bilbao, Osasuna ed infine Real Madrid e Barcellona. Se però l'obbligo da parte dell'Unione Europea diventasse effettivo, anche se ci vorrà almeno un anno, le conseguenze economiche sarebbero pesantissime, soprattutto per i madrileni: ad esempio, l'esborso per l'ingaggio di Bale raddoppierebbe, raggiungendo quota 135 milioni di euro in sei anni. Ma niente paura! Florentino Pérez, presidente anche di Grupo Acs (impresa per le grandi opere di ingegneria civile che ha chiuso il 2012 con un fatturato di 38 miliardi di euro), dall'alto del suo patrimonio di 1,8 miliardi saprà affrontare anche questa spesa. Dopotutto, in Spagna i disoccupati sono solo sei milioni. Saranno ben felici di assistere alla presentazione di un giocatore costato quanto un ospedale.

Samuel Boscarello per ilcalcio24.it

sabato 27 luglio 2013

I "grillini" d'Australia: nel cuore del Partito Wikileaks

Che la nuova frontiera della politica fossero i partiti 2.0 si sapeva già. Ma la notizia che ha fatto in poche ore il giro del mondo è che uno degli uomini più ricercati del pianeta ha inaugurato, in videoconferenza dall'ambasciata ecuadoregna a Londra, il Wikileaks Party. Julian Assange, dopo le rivelazioni pubblicate sul celebre sito che hanno messo in imbarazzo i diplomatici di mezzo mondo, dichiara ancora una volta lotta aperta al sistema e lo fa candidandosi al Senato dell'Australia, suo paese d'origine, insieme ad altri sei esponenti del partito in lizza per gli stati di Victoria, Nuovo Galles del Sud e Australia Occidentale.

VICTORIA

Julian Assange - Giornalista con un passato da hacker, co-fondatore di Wikileaks e ricercato per spionaggio dagli Usa e con l'accusa di molestie sessuali dalla Svezia, si trova in status di rifugiato politico all'interno dell'ambasciata ecuadoregna a Londra.




Leslie Cannold - Scrittrice ed attivista, è presidente di Reproductive Choice Australia e sostenitrice dei diritti delle donne. La sua organizzazione ha giocato un ruolo decisivo per la depenalizzazione della pillola abortiva Ru486.

Binoy Kampmark - Docente universitario al Royal Melbourne Institute of Technology, si occupa di storia, diritto e relazioni internazionali. Sta ultimando una pubblicazione riguardo l'evoluzione del concetto di "stato canaglia" negli Usa.

NUOVO GALLES DEL SUD

Kellie Tranter - Avvocato e attivista per i diritti umani, ha tenuto numerose conferenze in cui ha parlato di sfruttamento economico, cambiamenti climatici e democrazia di genere. Il suo impegno sociale e politico è stato riconosciuto dalla Women's Electoral Lobby.
Alison Broinowski - Giornalista e scrittrice, ha lavorato come free-lance in Giappone e successivamente anche in Filippine, Giordania e Corea del Sud in qualità di funzionaria diplomatica per il Dipartimento di Affari Esteri.

AUSTRALIA OCCIDENTALE


Gerry Georgatos - Giornalista d'inchiesta ed attivista per i diritti umani, si occupa principalmente delle problematiche che riguardano le comunità aborigene: povertà, suicidi e vagabondaggio. E' stato anche difensore dei diritti dei rifugiati e promotore di campagne contro la droga.

Suresh Rajan - Economista e consulente finanziario, si batte anche per la tutela dei disabili e delle comunità etniche. E' presidente della National Ethnic Disability Alliance.



E non solo: il Partito Wikileaks annuncia sul proprio sito web di aver intenzione di inserirsi anche nelle liste di Queensland e Tasmania, mentre si avvicinano le elezioni previste per settembre. Tecnicamente il partito esiste dallo scorso 23 marzo, data in cui è avvenuta la registrazione alla Commissione elettorale australiana e oggi i presupposti per un ottimo risultato elettorale ci sono tutti. Un sondaggio nazionale condotto ad aprile ha dimostrato che il 26% degli elettori sarebbe disposto a sostenere il Wikileaks Party, con un picco del 36% nel Nuovo Galles del Sud; inoltre solo nel primo mese si sono registrati 1300 iscritti. Certo, non è molto rispetto ai cinquantamila e agli ottantamila che contano rispettivamente il Partito Laburista e quello Liberale, le due principali fazioni politiche del paese, ma di questo passo le cifre aumenteranno rapidamente. 

Alle ultime elezioni del 2010 la sinistra dell'attuale Primo Ministro Kevin Rudd, che ha preso il posto della dimissionaria Julia Gillard, ha vinto con un margine di appena trentamila voti, condizione che ha portato ad un equilibrio parlamentare delicatissimo. E' proprio contro questo sistema bipartitico che Assange si propone di combattere, con semplici ed incisive parole d'ordine. Mettiamo una luce sull'ingiustizia e sulla corruzione, sottotitolo E' il momento per un reale cambiamento, è lo slogan per la campagna di iscrizione al partito, che si unisce ai tre principi basilari del movimento: trasparenza, responsabilità, giustizia. Naturalmente non può mancare tra gli ideali del Wikileaks Party la strenua difesa della rete libera e incontrollata da parte degli organi di potere, ribadendo di voler portare "il giornalismo investigativo nel cuore del Senato australiano". La priorità è quella, non si discute. "Il nostro è un partito che controllerà, non è un partito di governo", continua il fondatore calcando una scia che accosta la sua neonata organizzazione ad una linea affine a quella del Movimento Cinque Stelle, solo che a differenza di Beppe Grillo Assange concorre in prima persona ad uno scranno parlamentare. In caso di vittoria il giornalista potrebbe contare sulla possibilità di utilizzare la sua elezione senatoria come salvacondotto per porre fine alla sua odissea e tornare in patria, anche se a questo proposito avrà a disposizione un limitato periodo di tempo. Se infatti entro un anno egli non riuscisse ad occupare il suo seggio, lo perderà. Insomma, ciò che succederà in futuro è praticamente impossibile da prevedere, ma è certo che l'asilo offerto dal governo di Correa non potrà durare in eterno e le forze dell'ordine britanniche non hanno intenzione di mollare. Tuttavia resta sempre da considerare l'assicurazione, ovvero il famoso file insurance.aes256 contenente importanti informazioni sulla guerra in Afghanistan, del quale Assange tempo fa dichiarò di voler divulgare la chiave di decrittazione, se fosse accaduto qualcosa a lui o ai suoi stretti collaboratori. Ma per adesso bisogna pensare ad un programma convincente che dia seguito alle parole chiave che hanno sempre caratterizzato l'attivismo di colui che è stato capace di divulgare duecentocinquantamila documenti riservati degli Usa. E se ci riuscirà lui, quale sarà il prossimo passo? Chissà, forse vedremo Edward Snowden candidarsi alla Casa Bianca.




lunedì 22 luglio 2013

Tour de France, hanno vinto i sospetti

Si è appena conclusa la festa, quella della Grande Boucle che spegne cento candeline a distanza di più di un secolo dalla prima edizione del 1903. Ma mentre Froome taglia trionfale il traguardo parigino non si può non avvertire un groppo alla gola, non solo per la consapevolezza che la festa è finita e da oggi non ci saranno più le emozioni regalateci dalla doppia scalata dell'Alpe d'Huez e dalle volate finali tra Cavendish e Sagan, almeno fino all'anno prossimo. L'impressione è che la passione sia smorzata dalla diffidenza che ormai gli appassionati provano nel vedere un nuovo campione che si inerpica per le salite e subito dopo ha forza sufficiente per scattare più volte, difendersi dagli attacchi e allungare in classifica. Il britannico vincitore ha dovuto vedersela con insinuazioni di ogni genere da parte di tifosi e stampa per certi suoi tempi strepitosi, come in occasione dell'ascesa sul Mont Ventoux.

Troppi casi hanno oscurato il passato di questo sport e lasciato una macchia nelle carriere di tanti corridori. Da Contador, la cui vittoria nell'edizione 2010 della corsa francese è stata cancellata dal controverso caso della bistecca al clenbuterolo, all'arresto di Remy Di Gregorio avvenuto l'anno scorso, durante il primo giorno di riposo del Tour a Bourg-en-Bresse. Tanti piccoli buchi neri che attirano nel vuoto tutto ciò che resta alla luce del sole: la straordinaria prova di Quintana, il giovane Moreno Moser che ha mostrato sprazzi di classe nelle salite e lo spettacolo della Versailles-Parigi, l'arrivo al crepuscolo salutato dalle proiezioni olografiche sull'Arco di Trionfo e dal tricolore disegnato nel cielo dalla flotta aerea. Ad incombere su tutto, quelle sette bande nere che sporcano l'albo d'oro dove una volta era scritto il nome di Lance Armstrong.

La macchina del doping ha un funzionamento complesso che comprende gli sponsor, il cui potere finanziario può decidere la sopravvivenza di una squadra, vedere Team Barloworld, i dirigenti ansiosi di accaparrarsi gli accordi economici migliori ed infine gli atleti, contemporaneamente complici e vittime del sistema, piccoli Faust in caschetto e divisa. Prima vengono le vittorie, gli avversari sempre più alla portata, la resistenza che aumenta a vista d'occhio; poi ci sono le conseguenze, che siano esse scatenate da un test a sorpresa, una crisi improvvisa che porta alla morte (come accadde all'inglese Simpson) o un decadimento fisico precoce. Come sempre la chiave di tutto sta nell'organizzazione: quanto sarebbe bello immaginare un Tour con tappe più brevi, velocità minori e orari di gara meno caldi. Perché ogni nuovo caso di doping è una richiesta di aiuto da parte di uno sport troppo corrotto, immemore di coloro che con anfetamine ed Epo hanno trovato la fine della carriera o della vita, si pensi rispettivamente a Riccò e Pantani. Quando si terrà in conto tutto ciò, allora potremo tornare a guardare il ciclismo senza nutrire sospetti che rasentano la paranoia, magari strabuzzando gli occhi come bambini nel vedere un fresco ragazzo svettare sul Col du Tourmalet. Forse un giorno, davanti all'ennesimo campione caduto in basso, tutto questo accadrà.

Samuel Boscarello per ilcalcio24.it

giovedì 18 luglio 2013

Il cambiamento val bene un "orango"

Di questi tempi sembra che tutti se la prendano con la Kyenge. Perché, mi chiedo? Ce ne sarebbero cose gravi da rinfacciare a ben altri personaggi, ministri e non. Alfano, che dopo essersi fatto soffiare da sotto il naso la moglie del più importante oppositore del regime kazako, promette di silurare un numero indefinito di dipendenti del Viminale. O Bondi, il quale afferma tranquillamente che l'alta incidenza dei tumori nella zona di Taranto non è dovuta ai fumi tossici dell'Ilva, bensì alle sigarette e all'alcol. Dal canto suo la Kyenge è una che lavora tanto senza far troppo rumore, non sbraita nei salotti televisivi, conosce bene l'italiano ma ignora il politichese e sembra la sorella nostrana di Oprah Winfrey. Ed ecco il problema, la pelle. Quando non si può attaccare direttamente l'operato di qualcuno che finalmente vuole superare i limiti cronici della chiusura nazionalista italiana (abolizione del reato di immigrazione clandestina, istituzione dello ius soli), si passa agli insulti. Prima il becero teatrino sulle origini congolesi della ministra messo in scena di fronte ai parlamentari di tutta l'Europa da Borghezio, che come premio per la sua abilità oratoria ha ricevuto l'espulsione dal gruppo degli Euroscettici. Poi la nauseante ed infelice battuta da osteria di Calderoli: “Quando la vedo penso ad un orango”. Impossibile difendere l'espressione classificandola come un'uscita in scivolata da comizio elettorale, né spalleggiarla ostinatamente come il compare leghista Stival, che definisce la frase “offensiva per l'orango”. Altresì inammissibile tentare una giustificazione messa in piedi con un paio di sofismi, al pari della senatrice Fucksia (M5S) che si autodefinisce simile ad una papera.

Il ricorso al razzismo per smontare in modo violento un avversario inattaccabile non è nuovo a noi italiani maestri dello sbeffeggio, che duemila anni fa prendevamo in giro Cicerone per il suo porro al naso e oggi dileggiamo volentieri Brunetta e Berlusconi per la loro statura. Tuttavia ne passa dal semplice nomignolo, utilizzato ora come oggetto di satira ora come strumento di indignazione, alla xenofobia più pronunciata, fatta di ululati dalle curve degli stadi e grida trasudanti di grappa. Dobbiamo ancora comprendere la ricchezza dell'immigrazione, in termini di apertura mentale e rilancio economico del nostro paese. Gli americani lo hanno capito da tempo, loro che a cavallo tra l'ottocento e il novecento vedevano Ellis Island affollarsi di gente proveniente da Agrigento o Avellino. In una relazione del 1912 i nostri antenati venivano descritti come “di piccola statura e di pelle scura. Non amano l’acqua, molti di loro puzzano perché tengono lo stesso vestito per molte settimane. Dicono che siano dediti al furto e, se ostacolati, violenti. Le nostre donne li evitano perché si è diffusa la voce di alcuni stupri consumati quando le donne tornano dal lavoro”. E come loro, naturalmente tutti gli altri che dai luoghi più disagiati del pianeta cercavano fortuna nella terra del Sogno Americano. Che coincidenza! Eppure ventiquattro anni dopo, mentre Hitler si trastullava con le sue idee da ciarlatano del lotto sulla purezza della razza, la freccia nera Jesse Owens umiliava gli atleti ariani alle Olimpiadi di Berlino e Louis Armstrong sbancava ad ogni concerto.


Oggi l'inquilino della Casa Bianca è un discendente delle etnie inglese, tedesca e keniota, mentre Sylvester Stallone potrebbe recarsi a Bari per una rimpatriata di famiglia. Per non parlare dei vari Tiger Woods, Stephen King, Steve Jobs e Matt Groening. Basta rifugiarci dietro il luogo comune dell'immigrato che viene a rubare il lavoro agli italiani, piuttosto pensiamo ai nostri giovani costretti ad espatriare a causa di una guerra civile fatta di politici ingordi e imprenditori senza scrupoli, due figure che spesso combaciano nella stessa persona. Apriamo le nostre frontiere e diamo il diritto a chi nasce qui di essere un cittadino italiano, fermi e risoluti come la Kyenge, perché le idee sono più forti degli insulti. Avanti, ministra: il cambiamento val bene un “orango”.

lunedì 15 luglio 2013

Homer Simpson ha perso La Voce: addio a Tonino Accolla

Quello del doppiatore è un mestiere duro e indispensabile, come il mediano o lo spalaneve. Anche se il successo di un film dipende in gran parte dal doppiaggio, quasi sempre a raccogliere il merito di una gag comica o una battuta epocale è l'attore, tralasciando quanti traduttori abbiano sudato per adattare all'italiano un'allitterazione inglese e la fatica necessaria a dare una voce credibile ad un protagonista. Eppure pensate a Rocky Balboa con la voce di Pupo. Sarebbe tremendo, vero? Il lavoro del doppiatore è di fiato e resistenza (un esempio su tutti, la cadenza massacrante del Sergente Hartman in Full Metal Jacket), la cui gratificazione è un trafiletto nei titoli di coda, quando le poltrone del cinema si svuotano e gli immancabili spettatori assonnati si sgranchiscono le gambe. Poi ci sono i migliori, quelli cui il pubblico si affeziona perché la loro voce è sinonimo di grandi capolavori del cinema che spesso diventano simboli di un'intera generazione. I Simpson sono il marchio d'eccellenza della classe '90-'95, arrivando a contagiare grandi e piccoli con il sarcasmo raffinato, l'ironia mai grossolana e la straordinaria umanità di Homer Simpson. Il capofamiglia di Evergreen Terrace rappresenta ognuno di noi, con qualche talento e tanti difetti. Ogni volta che Homer si addormenta sul posto di lavoro, fa le ore piccole alla taverna di Boe o esulta di fronte ad una costoletta di maiale, è come se fossimo presi per la spalla e ci venisse sussurrato: "Non preoccuparti. Capita anche a me, che sono il simbolo della serie più amata degli anni novanta e duemila". Il merito dell'impagabile singolarità del carattere di Homer è dovuto alla classe di Tonino Accolla. Se Frank Sinatra era "The Voice", egli invece rappresentava "La Voce" dei più amati personaggi del pubblico italiano. Il timbro gutturale di Homer e i suoi tanti tormentoni ormai passati alla storia quali "D'Oh" e "Mitico!", la leggendaria risata di Eddie Murphy e la parlantina sbrigliata di Jim Carrey in Una Settimana da Dio. Si deve a lui la direzione del doppiaggio di gran parte delle stagioni de I Simpson (compreso il fortunato film del 2007) e di altre pellicole indimenticabili come Titanic e Avatar, oltre ad un'interminabile serie di attori e personaggi cui ha prestato la voce. Una carriera straordinariamente prolifica che ha contribuito in modo determinante alla fama dell'Italia come patria di grandi doppiatori, al pari di Ferruccio Amendola e Renato Izzo, da considerare il padre artistico di Accolla, avendolo scoperto ed avviato alla carriera di doppiatore. Da oggi in poi gli attori e i personaggi che più hanno appassionato il pubblico italiano non saranno più gli stessi: hanno perso per sempre la loro fantastica voce. Grazie, "Mitico" Tonino!

giovedì 11 luglio 2013

Le Sentenze del Sabato Sera

C’è solo una cosa peggiore di un arbitro brasiliano che accoltella un giocatore in campo e viene squartato dalla folla inferocita. Si tratta del perbenismo ipocrita della gente che a novemila chilometri di distanza viene a conoscenza della notizia e imbracciando la tastiera mitraglia sentenze contro i “selvaggi”.
La specie del Sentenziante Domenicale non è certo in via d’estinzione. Al contrario, il web sta favorendo lo sviluppo esponenziale di questi esemplari, che una volta vivevano confinati nelle riserve naturali dei Bar Sport. Adesso l’areale dei sentenzianti è costituito da social network, box a fondo pagina riservati a commentare le notizie divulgate dalle grandi testate giornalistiche e forum. Sono subito riconoscibili per gli attacchi gratuiti all’oggetto della loro filippica e per il linguaggio, che è classificabile tra lo sgrammaticato (k per ch, genocidio di maiuscole e punteggiatura) e l’offensivo. Il loro più alto obiettivo è ricevere l’approvazione dei simili, riassunta in un “mi piace” o in un commento altrettanto scurrile. Si trovano dappertutto accanto a noi, camuffati in una perfetta posa da mancato opinionista televisivo e pronti ad attaccare con le loro argomentazioni imparate a memoria, alla maniera del Giovin Signore di Parini.

I più pericolosi si scatenano in occasione di un fatto di cronaca nera, meglio se si tratta di un immigrato stupratore o di un’autobomba in Medio Oriente, e il loro numero preferito è la caccia all’untore. E così da sabato scorso, quando sul web hanno cominciato a circolare le prime immagini dell’arbitro ventenne decapitato, gli arti spezzati e il corpo tumefatto, hanno cominciato a fiorire boccioli di ipocrisia pura in frasi del tipo “Io non sono come loro” e “Non sono degni di organizzare i Mondiali”, come se le vittime della faida fossero Messi e Webb, non due ragazzi che si trovavano su quel campo in vesti diverse, ma con l’unico scopo di dimenticare almeno per novanta minuti la povertà dei bairros dello stato di Maranhao.

Sono le sentenze del sabato sera, solo che al posto dei Bee Gees e di John Travolta ci sono piccoli Sgarbi seduti su poltroncine virtuali, ognuno protagonista di un talk show ad personam. Alcuni illuminati arrivano a proporre di vietare alla nazionale italiana di partire per il Brasile l’anno prossimo, “per motivi di sicurezza”. Perché in Italia naturalmente non avvengono cose del genere. Tutto ordinario, nel paese in cui si grida al linciaggio se un extracomunitario ruba per fame e poi si costruisce un caso mediatico intorno a Zio Michele e la Cugina Sabrina, con pianti in diretta televisiva e un certo Vespa che ronza gongolante di fronte al suo bel plastico.

Perché se ciò che è successo in Brasile è l’atto di un popolo ignorante e analfabeta (altra perla di Saggezza Sentenziante), allora in Italia dovremmo vergognarci e calare le bandiere a mezz’asta ogni volta che sentiamo parlare di Stefano Cucchi, Filippo Raciti e della macelleria messicana alla Diaz. Tutti gli episodi di una violenza così primitiva e irrazionale hanno come unica causa la disperazione del vivere, e di quello non sono colpevoli gli esecutori dell’omicidio, per quanto essi siano da condannare senza pietà. I mandanti dello spargimento di sangue sono altri. Provate a guardare in televisione o sul web tutti coloro che in Italia, Brasile e ogni altra parte del mondo arricchiscono il banchetto del potere con le carni della povera gente. Inveite pure contro di loro, cari sentenzianti. Guadagnerete meno “mi piace”, ma almeno avrete imparato a guardare oltre le apparenze.

Samuel Boscarello per cogitoetvolo.it

mercoledì 10 luglio 2013

Alla scoperta dell'Esercito di Silvio

Immaginate di svegliarvi una mattina e scoprire che si è formato un nuovo esercito, di stanza a due passi da casa tua. Una sorta di Hitler Jugend, solo che invece di camicie brune e passo dell'oca esso consiste in un tripudio campanilista delle parole chiave che hanno accompagnato la scalata di Berlusconi al potere: l'home page del sito dedicato all'Esercito di Silvio si apre con una scritta che campeggia trionfale. "L'esercito della libertà", sottotitolo "Uniti per difendere il Presidente Berlusconi". Se si vuole provare un brivido di terrore è bene dare un'occhiata il contatore degli arruolamenti a destra, che segna già 19mila volontari pronti a combattere nella Campagna d'Italia, che in pratica sarebbe un tour in difesa di Colui-Che-E'-Vittima-Delle-Toghe-Rosse. Da notare l'onnipresente simbolo di Forza Italia, salutato come il partito che riunificherà il centro-destra attraverso questo grande viaggio dai toni vagamente napoleonici. Da Bari a Padova, passando da Roma, Milano e Torino, le piazze saranno riempite per metà da accaniti sostenitori dell'Esercito, mentre l'altro cinquanta percento sarà probabilmente costituito da figuranti, abitudine non nuova per i berlusconiani. Insomma, un gioco da ragazzi. Perfino arruolarsi è più semplice che votare alle primarie del Pd; basta inserire poche generalità, email e telefono e poi sarete pronti a sostenere il Presidente nella Guerra dei Vent'anni. Leggendo i commenti dei soci di questa Invincibile Armata sembra di trovarsi di fronte alla descrizione di un giovane Lupetto che si appresta a diventare Esploratore. Berlusconi viene definito umile, disposto ad ascoltare i giovani, comunicativo e chi più ne ha più ne metta. Il tutto a fianco di una biografia in stile Mahatma che titola "La vita straordinaria di Silvio Berlusconi", la quale dipinge il Presidente come uno statista, vittima di un costante complotto ordito dalla sinistra e tuttavia impegnato a risolvere le questioni italiane ed internazionali. Peccato che abbiano dimenticato di scrivere che da Arcore non è solo passat"la storia del nostro paese", ma anche un numero indefinibile di soubrette e giovani nipoti di capi di stato maghrebini. Non figurano nemmeno le perle di saggezza stillate dalla sua bocca in varie occasioni, come quando definì Obama "giovane, bello e abbronzato" o la Merkel una "culona inchiavabile". Il resto è tutto uno spumeggiare di retorica, un ritratto che vede Silvio come il Padre della Patria e l'uomo giusto per salvare l'Italia. Insomma, la solita solfa che ci viene rifilata da vent'anni, solo riproposta con le parole di entusiasti pidiellini in partenza per la loro battaglia. Ultima, imperdibile chicca, la voce "Organizzazioni aderenti". Quasi metà di esse (quattro su nove) sono sezioni territoriali dei Promotori della Libertà, mentre tra le altre troviamo Forza Insieme, Voce dell'Italia Studentesca (forse di un atomo di essa: fatevi un giro nei social network e guardate un po' cosa ne pensano i giovani del Berlusca), il Club della Libertà e un paio di associazioni i cui fondatori erano forse un po' a corto di fantasia al momento di scegliere il nome: Dai Forza All'Italia, con il suo inconfondibile gusto di lista-civetta, e il tocco finale: Azzurri '94, il cui obiettivo è forse quello di dimostrare che l'errore dal dischetto di Baggio  contro il Brasile fu il risultato di una congiura ordita dalla Boccassini in combutta con il Pds. Cari Silviofili, aprite gli occhi. Quando vi accorgerete che la vostra Crociata è un'Armata Brancaleone, sarà ormai troppo tardi. Fate qualcos'altro per ingannare il tempo, coltivate girasoli, datevi al fai-da-te o cercate una nuova cura all'uveite. Ma, per favore, non rendete l'Italia ancora più ridicola.

sabato 6 luglio 2013

Mattatoio brasiliano, faida in campo: due morti

L'arbitro Otavio Jordao da Silva de Catanhede, torturato
e decapitato in campo.
Il binomio calcio-violenza si rafforza pericolosamente in Brasile, dove fino ad una settimana fa infuriavano gli scontri dei manifestanti, che protestavano contro le follie economiche del governo nell'organizzazione della tripletta Confederations Cup-Mondiali-Olimpiadi. Un nuovo episodio, decisamente più efferato di uno scambio di manganellate con le forze dell'ordine, è avvenuto nello stato di Maranhao, nella zona nord-orientale del paese. Un territorio vasto più di 330 km quadrati, lontano dalla magnificenza del Maracanà e dai benestanti che possono permettersi di agguantare dalle tribune il pallone calciato da Bonucci a Fortaleza. Qui i ricchi (pochi) vivono sulle spalle dei poveri (molti) che vivono nei bairros, quartieri popolari di periferia. La passione per il calcio è uguale a quella che si respira a Rio, ma è impossibile non lasciarsi pervadere da un moto di turbamento quando una partita tra dilettanti si trasforma in un macello.

Capita tutto troppo velocemente perché qualcuno si possa accorgere di quanto sta accadendo. L'arbitro, il ventenne Otavio Jordao da Silva de Catanhede, espelle Josenir dos Santos Abreu. Il giocatore (31 anni) non ci sta e prende a calci il direttore di gara, il quale estrae un coltello e lo affonda nel petto di Josenir. Quando il giovane cade a terra, i tifosi insorgono. Entrano in campo, trascinano l'arbitro e lo legano al palo. Poi comincia il rituale della vendetta: botte e sassate, qualcuno decapita la vittima e ne espone la testa. Quando la folla si dirada, ai soccorritori non resta che raccogliere il cadavere fatto a brani. Due morti nel mattatoio maranhense, tutti colpevoli, nessuno assolto. Il pallone rotola ancora una volta nel sangue e noi vi chiediamo: fermatevi; per un giorno, una settimana o un mese. Abbassate le bandiere a mezz'asta e portate il lutto al braccio. Perché se la tomba del calcio è stato l'Heysel, ogni giorno che passa qualcuno la scoperchia per poter infierire ancora un po'.

Samuel Boscarello per ilcalcio24.it


Spiagge bianche e maree nere

Signori onorevoli, grazie per avermi dato l’opportunità di parlare. Tra l’altro vedo che da qualche parte tra i giornalisti si nascondono alcuni manager, che spuntano tra le arcate che dominano i banchi dell’emiciclo come ciuffetti di erba selvatica nella macchia.
Voglio raccontarvi di quando da bambino andavo a campeggiare con la mia famiglia in un posto vicino ad Agrigento, nella costa mediterranea della Sicilia. Il sole dell’estate faceva brillare le onde del mare e la cima di un grande scoglio da cui i più temerari osavano tuffarsi. Era proprio un bel posto… scusi onorevole, potrebbe mettere giù quel tablet? Grazie.
Come stavo dicendo, era una bella spiaggia. Si trovava tra due città, Gela e Licata. Uso l’imperfetto perché un giorno su quella spiaggia trovammo il divieto di balneazione: inquinamento da amianto, diceva il cartello come uno spietato giudice che pronunciava la condanna. Ma l’unica colpa di quel tratto di costa era trovarsi in una zona di cui si è sempre abusato.
Vedo che non ho ancora la vostra attenzione, così userò una parola che a voi è senz’altro cara: D.I.A.R.I.A. Noto con piacere che adesso ascoltate tutti! Bene, devo deludervi. I D.I.A.R.I.A. sono Disastri Intollerabilmente Accaduti per Ragioni di Incuria Ambientale. Ebbene, adesso immaginate un grande stabilimento petrolifero sulle foci di un fiume che sbocca nel mare più bello e ricco del mondo per la sua fauna ittica. Cosa succede se ettolitri di petrolio vengono riversati in mare in seguito ad una perdita? Un disastro, appunto. Il problema è che stavolta la marea nera non inquina il golfo del Messico, che chissà per quanto tempo ancora risentirà del mortale omaggio gentilmente offerto nel 2010. In questo periodo sembra che il mare della città di Gela sia stato attaccato da un grande cancro nero galleggiante. Passando per il Lungomare Federico II di Svevia non si può fare a meno di rabbrividire: ogni giorno quella strada è percorsa da gente che va al lavoro, genitori che accompagnano i bambini a scuola e amanti della corsa che vogliono respirare a piene narici l’odore del mare. Peccato che spesso si senta solo il tanfo aspro del fumo delle ciminiere, che bruciano ininterrottamente offuscando il cielo anche nelle giornate di sole. I gelesi vanno così fieri del loro mare che ne parlano gonfiando il petto, annunciando nelle giornate afose dell’estate che “domani si va in spiaggia”. Chissà se adesso potranno dire lo stesso, dopo aver visto le barriere di sicurezza solcare le onde in un tentativo – pressoché vano – di contenere l’acqua inquinata.
Quel che vi chiedo è semplice: quanti metri cubi di mare dovranno ancora essere inquinati prima di capire che il petrolio è sicuro quanto quel nucleare contro cui ci siamo tutti – giustamente – scagliati due anni fa? Quanto lavoro dovremo dare ad oncologi ed endocrinologi per accorgerci che soffocando le energie alternative stiamo uccidendo noi stessi? Quanto tempo dovrà passare perché si finisca di sfregiare una terra incantevole come la Sicilia, tra l’altro minacciata anche da un mostro chiamato Muos? Adesso mi fermo qui, o finirà che Bob Dylan mi citerà per plagio. Aspetto una risposta da parte vostra. Prendetevi pure i rimborsi spese – a patto che siano davvero rimborsi -, ma fate in modo che non ci siano più D.I.A.R.I.A.
Grazie.

Samuel Boscarello per cogitoetvolo.it

mercoledì 3 luglio 2013

Dieci motivi (più uno) per dire no agli F35

Vorrei che il Governo acquistasse gli F35, se davvero si trattasse di elicotteri che trasportano malati e spengono incendi (Boccia dixit). Il problema è che si tratta di cacciabombardieri che sganciano ordigni e uccidono persone [1].
Io non li voglio perché il Governo nel suo “pacchetto lavoro” ha stanziato 15 milioni di euro l’anno per finanziare i tirocini universitari, mentre per un singolo aereo bisogna sborsarne tra i 90 e i 106 [2].
Una montagna di denaro, tale che con il costo di un caccia si potrebbe mantenere un ospedale in Africa per i prossimi cinquant’anni [3].
Ma tutto ciò è poca cosa rispetto alle stime dei costi totali, che ammontano a più di 40 miliardi di dollari, cui bisogna aggiungere i 200 miliardi di spese d’acquisto. Se tutto questo denaro venisse distribuito equamente ad ogni essere umano sulla faccia della terra, ciascuno riceverebbe circa 35 dollari [4].
Io non voglio gli F35 perché, ammesso che sia vero che produrranno diecimila posti di lavoro, ciò accadrà a spese di chi da un’altra parte del mondo tremerà di terrore nel vederli in cielo [5].
Del resto si tratta della tecnologia militare più avanzata, firmata Lockheed Martin, la stessa azienda che si occupa di progettare i satelliti geostazionari Muos [6].
Figurarsi che l’Aeronautica, con un orgoglio sinistro, si ritiene soddisfatta del modello in quanto possiede “uno spiccato orientamento per l’attacco aria-suolo, bassa osservabilità radar, in grado di utilizzare un’ampia gamma di armamento, pensato e progettato per quei contesti operativi che caratterizzano le moderne operazioni militari di quest’era successiva alla guerra fredda” [7].
Io non voglio gli F35 perché “per amare la pace, bisogna armare la pace” è una frase degna di un circolo di veterani della Normandia, non di un ministro della Repubblica Italiana che ha giurato sulla Costituzione [8].
Che il ministro Mauro vada a leggere il certificato di nascita del nostro Stato, all’articolo 11:“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali” [9].
Ministro, se lei ritiene che per mantenere la pace la si debba imbracciare il fucile, scenda pure sul campo di battaglia. Io, in quanto cittadino, mi rifiuto essere complice di omicidi mascherati sotto il nome di “missioni di pace” [10].
Ma soprattutto non voglio gli F35 perché credo che la vera missione di pace sia ripulire il cielo da ogni cacciabombardiere, il mare da tutte le portaerei e la terra da ogni singolo carro armato. Solo allora avremo vinto la nostra battaglia.
Samuel Boscarello per cogitoetvolo.it

martedì 2 luglio 2013

Uncle Sam is watching you

Storie di spionaggio, intercettazioni e segreti inconfessabili. Cambiano i volti, i tempi e i contesti, ma il contenuto è sempre quello. Il gate colpisce ancora. Protagonista e principale imputato il governo degli Stati Uniti d'America, ancora una volta scoperto ad appropriarsi di ciò che ogni paese democratico (difficile trovarne uno, di questi tempi) dovrebbe riconoscere come un diritto inviolabile, quello alla privacy. Il Datagate è solo un sintomo della schizofrenia da terrorismo di cui soffre l'America dall'11 settembre 2001 e non bisogna certo scomodare Freud per affermarlo. La prevenzione degli attacchi contro la cittadinanza si è trasformata in una paranoica ossessione, fatta di scrupolosi controlli della vita privata della popolazione. Visiti spesso siti di armi e su Facebook critichi duramente il presidente Obama? Allora sei un potenziale terrorista, da tenere d'occhio, finché la Nsa non avrà appurato che il tuo atto più pericoloso nei confronti della società consiste nel gettare la plastica nel cassonetto dell'umido. Ma fino a quel momento tu sei una possibile minaccia, uno che la mattina va ad accompagnare i figli a scuola e poi si chiude nella cantina di casa a studiare il modo migliore per far saltare in aria Franklin Square. E così loro hanno il diritto di entrare nella tua vita privata e verificare se tu abbia collegamenti con un gruppo jidaista o un manipolo di anarchici, invadendo i segreti così piccoli ed altrettanto inconfessabili che ognuno custodisce, magari confidandoli ad un amico nel mezzo di una telefonata nella (vana) sicurezza che nessun'altro stia ascoltando.

Ma il comportamento schizoide dello Zio Sam non si risolve semplicemente in una innocente sbirciata nelle vite dei suoi cittadini (pensate che in Italia non succeda? Complimenti, avete appena vinto un biglietto aereo di sola andata per il Mondo Reale). Ecco che negli ambienti di Bruxelles si scopre con indignazione che gli Usa tengono sotto controllo anche le sedi diplomatiche di paesi come l'Italia e la Francia. Non stiamo parlando di stati canaglia come la Corea del Nord o l'Iran, bensì di nazioni in rapporti decisamente idilliaci con gli Stati Uniti (la collaborazione del nostro paese al progetto F35 è l'equivalente di un'appassionata dichiarazione d'amore. Amare la pace, armare la pace, non dimentichiamolo. Semper Fidelis). Insomma, ciò che succede oggi è ben più grave di quanto accadde quarant'anni fa al Watergate Hotel. Allora ad essere spiati erano solo gli avversari politici, mentre oggi nemici e amici si trovano sotto lo stesso fuoco silenzioso del grande orecchio dello Zio. Perché sarà anche vero che l'età lo avrà reso paranoico, ma lui ci sente ancora benissimo.



sabato 29 giugno 2013

Oggi si è spenta una stella

C'è chi viene ricordato con una targa, chi con uno stadio o un teatro. Solo pochi hanno l'onore di dare il proprio nome ad un asteroide. Si tratta perlopiù di scienziati che passano la loro vita tra lavagne, laboratori, formule e telescopi; solo in rari casi avviene che un'anonima serie di numeri venga affiancata al nome di una personalità che ha consacrato la propria vita non solo alla scienza, ma anche alla politica e ai diritti degli uomini e degli animali. Oggi si è spenta una stella. Una supergigante rossa, avrebbe precisato lei, perché ci sono stelle e stelle, e Margherita Hack lo sapeva bene. Dopo una settimana di lotta, il suo cuore si è arreso alle 4,30 di questa mattina. Non verso un'esistenza ultraterrena (la Hack era rigorosamente atea), forse in vista di una liberazione. Di sicuro ha spiccato l'ultimo salto, quello più importante. Lei aveva saltato tante volte in gioventù e anche molto bene, facendo incetta di titoli sportivi universitari negli anni '40, prima che la vita accademica la portasse verso gli orizzonti sconfinati dell'universo. Margherita ne ha osservati di corpi celesti, durante i ventotto anni di insegnamento all'Università di Trieste e i ventitré passati a dirigere l'Osservatorio Astronomico del capoluogo friulano, prima donna italiana a ricevere l'incarico. Ma, soprattutto dopo l'avvento del nuovo millennio, la sua è stata anche una vita di attivismo politico nella sinistra. Tre volte risultò eletta, prima alle regionali del 2005 in Lombardia, l'anno dopo alla Camera dei Deputati e nel 2010 alle elezioni della Regione Lazio, rinunciando sempre a causa degli impegni scientifici. E poi le battaglie a sostegno dei diritti delle coppie omosessuali, della ricerca sul nucleare (pur disapprovando la costruzione delle centrali in Italia) e dell'eutanasia. Il tutto nel nome di quello che, oltre ad essere il titolo di uno dei suoi sessanta libri, può essere considerato il riassunto estremo del suo credo professionale: "Libera scienza in libero stato", per l'indipendenza della ricerca da ogni tipo di influenza religiosa, culturale e politica. Oggi la supergigante rossa si è spenta, ma la sua fine non passerà inosservata. Quando le stelle più grandi muoiono danno luogo alle supernove, spettacolari esplosioni di luce. Succede questo quando l'universo decide di lasciarci senza parole. Lei ne era consapevole. Ed è per questo che, con l'umiltà di chi sa di essere estremamente piccolo, è diventata una grande donna.

giovedì 27 giugno 2013

Incoerenza a larghe intese

Pacchetto lavoro. Basta un po' di propaganda pubblicitaria a base di titoloni in taglio alto riportanti i numeri che il governo sta stanziando per il suo generoso aiuto ai giovani, e il gioco è fatto. Ci manca solo Arrigo Sacchi a riflettere che se il calcio non esistesse, adesso potrebbe essere presidente della Commissione di Vigilanza Rai. Per carità, si tratta di un decreto utile (almeno se lo si paragona al resto dell'operato di Letta & Co.), ma in fin dei conti possiede molte lacune di ipocrisia ed incoerenza. E' giusto incentivare il lavoro dei giovani tra i 18 e i 29 anni, ma qualcuno spieghi con quale criterio sono stati scelti i requisiti: essere privi di impiego retribuito da almeno sei mesi, non possedere un diploma di scuola media superiore o professionale, vivere soli con una o più persone a carico. Condizioni del genere potevano andare bene ai tempi di Cavour e D'Azeglio, certamente non oggi. Continuano ad essere ignorati i giovani laureati, che devono riporre nel cassetto le aspettative per le quali hanno studiato per vent'anni (a meno che non vogliano andare all'estero, ovviamente). Per loro solo 15 milioni annui destinati a supportare il tirocinio e un supporto mensile massimo di 300 euro in forma di borsa di studio. E dopo? Non hanno pensato a promuovere la conversione del tirocinio in lavoro stabile, tramite incentivi economici ai datori di lavoro (come quello di cui sopra) o nei termini di sgravi fiscali? Probabilmente, non ne hanno avuto il tempo. Del resto, il tema scottante del dibattito politico riguarda gli F-35. Gli innocui elicotteri, che le malelingue vogliono far passare per pericolosi cacciabombardieri, costeranno allo stato ben 90 milioni, e questo solo per i primi tre modelli. Niente male, se si considera che la cifra è uguale a sei volte quella che verrà spesa per i tirocini universitari. Il peggio è che nel frattempo la maggioranza Pd-Pdl-Scelta Civica, così ottemperante nella volontà di ostacolare la disoccupazione, ha bocciato al Senato la mozione riguardante il reddito di cittadinanza. A favore M5S e Sel, mentre la Lega preferisce l'afasia. Una grande prova dell'efficacia del Governo del Cambiamento, non c'è che dire. Intanto secondo le stime la disoccupazione salirà al 12,6% nel 2014. Peggio di così c'è solo l'Italia.

mercoledì 26 giugno 2013

L'uomo mandato da Dio

Salve a tutti,
Sono lieto di proporvi il mio racconto "L'uomo mandato da Dio", vincitore della X Edizione del Premio Artistico Letterario "Ilaria e Lucia". Potete guardare il trailer qui sotto e scaricarlo gratuitamente in formato PDF.

Jeremy Robertson è un broker di Wall Street, che vive in un mondo prostrato al guadagno e all'opportunismo, in cui il ruolo di ognuno è produrre ricchezza attraverso il lavoro. Nessun sentimento, nessuna distrazione; solo una massa di uomini e donne senza identità che popolano la terra. Una sera, mentre ritorna a casa, assiste ad un drammatico incidente. Viene posto di fronte ad una scelta: dimenticare tutto e continuare a vivere come ha sempre fatto, o evadere ogni regola? Bastano pochi secondi per cambiare il mondo, ma per farlo ci vuole un grande coraggio.




martedì 25 giugno 2013

Adesso basta

Adesso basta. Siamo stanchi, nauseati ed arrabbiati. Ci sentiamo insultati e presi in giro, noi che sfogliamo le pagine dei quotidiani e fremiamo quando un nome importante viene accostato alla nostra squadra del cuore. Abbiamo il sentore di essere stati derubati di tempo e denaro, ogni volta che abbiamo passato due ore in compagnia di ventidue ragazzi che inseguono un pallone. Credevamo che con Calciopoli e il Calcioscommesse avessimo toccato il fondo del barile, quella parte in cui si accumulano detriti, muffa e sporco. Invece abbiamo cominciato a grattare, e ci siamo ritrovati a scoprire che quel vecchio barile poggiava su una montagna di sterco. Proprio adesso che la nazionale ci sta regalando belle soddisfazioni, che il mercato comincia e il tifoso, individuo antropologicamente interessante e zoologicamente singolare, entra nella stagione delle grandi aspettative e delle infatuazioni per il campione che “ha passato le visite mediche”. Tutto cancellato, ancora una volta spazzato via da un altro scandalo. Quarantuno club coinvolti, la Serie A invischiata fino al collo nel giro di danarosi traffici destinati ad eludere la tassazione dei contratti. Ci sono dentro tutti; dirigenti, procuratori, calciatori. Non si può nemmeno intavolare una discussione da bar sport, perché in situazioni come questa si può solo sbattere il pugno sul frigo dei gelati e gridare all'indignazione.


BIRRA E CHAMPAGNE - Una volta ho letto che se la ricchezza è come la birra, il potere è lo champagne. Il passo tra la semplice euforia e la dipendenza patologica è molto breve, capace di innescare un'escalation da far impallidire Lyndon Johnson. I meno pericolosi sono coloro che si accontentano di una sbronza da Oktoberfest. Sono fastidiosi e fanno un baccano infernale, ma complessivamente sono innocui. Vivono nelle loro grandi ville e si gloriano dell'illusione di essere divinità terrene. Poi vengono quelli che preferiscono ubriacarsi in modo raffinato. Ce ne sono tanti nelle aule parlamentari, e anche nei consigli d'amministrazione. Poi ci sono i peggiori, quelli che vogliono a tutti i costi organizzare una festa bavarese a Porto Cervo. Viziati e spregiudicati, si nascondono dietro una cravatta ed un sorriso da rappresentante di enciclopedie il venerdì pomeriggio. Il mondo del calcio ne è pieno, dai presidenti che si danno battaglia di fronte alle telecamere e poi combinano intrighi di prestiti, plusvalenze e comproprietà, agli agenti da completo impeccabile e dente avvelenato. Infine ci sono i calciatori che vorrebbero parlare ma non possono (pochi), quelli che potrebbero farlo ma non vogliono (tanti), quelli che acquistano il biglietto per la Yachtoberfest e cominciano ad inebriarsi (quasi tutti). Ospite d'onore della festa, il denaro. Chi è ricco vuole essere potente, chi lo è già vuole diventare il più forte di tutti. È un terreno malsano, quello su cui oggi rotola il pallone. Fangoso, pieno di buche e con poca erba. Il problema è che non ci sarà nessun sopralluogo della terna arbitrale, perché anche loro (Calciopoli insegna) sono saliti a festeggiare sullo yacht. Così restiamo solo noi, con quella sfera sempre più pesante da spingere. Non ci fermeremo, almeno fin quando la melma sarà così profonda che non potremo più avanzare. Allora cominceranno le pulizie, e per una volta saremo noi a divertirci.


Samuel Boscarello per ilcalcio24.com




lunedì 24 giugno 2013

Come il primo giorno di scuola

Salve a tutti,
Aprire un blog è come il primo giorno di scuola. Devi fare una buona impressione, anche se non sai cosa ti aspetta di preciso una volta premuto il tasto invio per pubblicare il primo post. Sei solo con il tuo zainetto sulla spalla, alle porte della giungla della blogosfera. Sì, è come tornare indietro alle elementari. La maestra dice il tuo nome, tu devi alzarti in mezzo a tanti bambini che non hai mai visto e presentarti in modo decente.

Io sono Samuel Boscarello. Di anni ne ho sedici e, nonostante fin qui abbia parlato di scuole elementari, frequento il liceo classico. Se penso che esattamente fra un anno mi troverò su una sedia in corridoio, madido di sudore a scribacchiare qualcosa per strappare un buon voto d'esame, preferirei davvero essere ancora uno scolaretto.
Sono cresciuto a pane, Rowling e Topolino e ho sempre avuto interesse per la scrittura, ma per me la magica scintilla della passione è nata dai libri di Beppe Severgnini. Ed eccomi qui, un aspirante giornalista che di tanto in tanto si diletta anche a scrivere racconti. Collaboro con ilcalcio24.com e cogitoetvolo.it, oltre che con il giornale locale L'Obiettivo.
Il cammino è lungo e il sole picchia forte. Mi dicono che questo non è un paese per giovani, che qui vanno avanti solo due tipi di persone: i ladri e coloro il cui QI è inversamente proporzionale ai soldi spesi in trattamenti di bellezza. Hanno ragione. Nella società di oggi crediamo di vagare liberi per il Paradiso, ma non ci accorgiamo di essere in catene. Il modo per liberarci è sognare. Sognare e agire, per il nostro futuro e la nostra vita, stringendo i denti e riprendendoci tutto ciò che ci è stato tolto. Coloro che detengono lo Scettro del Potere non l'hanno ancora capito, ma presto o tardi saranno costretti ad abdicare. Cosa stiamo aspettando? C'è tutto il Paradiso che ci attende!