STASERA CON ParlaMente 18 luglio 2014

martedì 21 gennaio 2014

Intervista a Gianni Cuperlo: "Spendiamo troppo poco in innovazione e ricerca"

Foto: lettera43.it

Gianni Cuperlo arriva trafelato. La mattina è umida e piovosa, l’aria densa come quella che si respira in via del Nazareno. È il giorno in cui si tirano le somme di un incontro che si candida al titolo di “Evento Politico del 2014”: se l’incontro tra Renzi e Berlusconi sia la fine del ventennio e (o) l’inizio di una nuova stagione politica di riforme non si sa, ma per i media è manna nel deserto. Il presidente del Pd risponde alla salva di domande, poi bocca cucita. Non è il momento di parlare di legge elettorale, non qui ed ora.

E’ domenica 19 gennaio e siamo a Caltagirone, quarantamila anime arrampicate su una collina in provincia di Catania. Il paese che beffò il Duce con lo spettacolare panorama marittimo (nell’entroterra siciliano) che avrebbe dovuto fare da scenario alla nuova città di Mussolinia. Il luogo che diede i natali all’eclettico Don Luigi Sturzo: statista fondatore del Partito Popolare e fermamente antifascista, ma anche pubblicista, appassionato di musica, teatro e critica letteraria. Cuperlo ringrazia Pierluigi Castagnetti, un passato tra i nuovi Popolari di Martinazzoli prima di uncursus in quattro legislature tra La Margherita e il Pd, che da presidente della associazione “I Popolari” fa gli onori di casa, in occasione del novantacinquesimo anniversario dell’Appello ai liberi e forti.

Si parla di passato e futuro, divisioni e convergenze. La necessità è riportare l’economia alla semplicità, la politica alla moralità senza colore di partito, secondo il solco tracciato da Sturzo a Berlinguer e scomparso nella palude di Mani Pulite. Vallo a spiegare ai giovani, peraltro molto pochi in sala. Comprensibilmente disaffezionati e immeritatamente disillusi, svuotano i loro paesi in un’odissea che li porta dalle città universitarie all’estero, probabilmente in via definitiva, con in tasca una laurea che non dà opportunità di lavoro.

Quella delle università “è un’ampia riforma complessiva che bisogna fare: – rileva Cuperlo ad Ateniesi – rafforzare il rapporto sul territorio tra i poli universitari e le strutture economiche produttive, anche industriali”. Proprio alle industrie e alle imprese è indirizzato il suo monito. “Bisogna che facciano uno sforzo nella direzione giusta. In Italia si investe troppo poco in innovazione e ricerca, lo fanno anche le imprese”. Una misura da Jobs Act, che però non ha ancora preso posto all’interno del testo programmatico. E a proposito del previsto assegno universale per chi perde il posto di lavoro: “Ci sono diverse soluzioni tecniche. Il Parlamento Europeo ha votato una direttiva sul reddito familiare, quello individuale ha un carattere diverso e oneri di spesa molto più significativi”. Il primo passo verso il reddito minimo garantito? “Non c’è dubbio che bisogna estendere il sistema degli ammortizzatori sociali anche a chi oggi non è garantito, soprattutto lavoratori discontinui di vecchia e nuova generazione. Vedremo anche dal punto di vista del merito e della tecnica quale sarà la soluzione”.

Nel frattempo i giornali parlano di pace fatta tra centrosinistra e centrodestra e ripropongono il videomessaggio di Berlusconi. Grillo invece chiama a raccolta gli iscritti per formulare la proposta pentastellata di legge elettorale, sotto la guida di Aldo Giannuli. Chissà se anche il genovese vedrà recapitarsi un invito in casa Pd. Nel dubbio, il giudizio di Cuperlo è salomonico. “Le do il telefono di Renzi. Lo chiami, si faccia dare la risposta e poi me la dica”.

Samuel Boscarello per Ateniesi.it

giovedì 9 gennaio 2014

Legge elettorale: dove ci porta "Le Mattaraille"?

Non c’è che dire, bisogna fare i complimenti a Enrico Letta. Ad aprile, mentre il neo-premier giurava con la sua squadra di governo e fuori scoppiava il pandemonio, non in pochi pensavano che non sarebbe arrivato a mangiare il panettone. Invece, nonostante gli inevitabili capitomboli che costituiscono gli effetti collaterali delle larghe intese, Enrico è ancora lì. Un piccolo traguardo da aggiungere alla bacheca personale, insieme al non pervenuto alleggerimento del peso fiscale, all’aver rimandato il reddito minimo garantito e al mezzo silenzio sui tagli ai costi della politica. L’abolizione del finanziamento pubblico (chiamiamolo così, fa meno ipocrita) ai partiti? Bene. Ma se funzionerà è ancora da vedere. Tuttavia c’è una cosa in merito alla quale tanto si parla e poco si fa. Non stiamo parlando del precariato, ma della legge elettorale.

Del Porcellum, che non è un riferimento alla filosofia politica dei suoi fautori, se ne dicono di tutti i colori. Approvata in ossequio a un democraticissimo ricatto di Silvio Berlusconi (o vinco io o cade il governo), ha avuto tempo di lasciare il segno su due legislature prima di essere dichiarata incostituzionale dalla Corte. Non sappiamo se Letta arriverà anche a scartare l’uovo pasquale (il che in parte dipenderà anche da Renzi), ma certo è che un’altra tornata elettorale calderoliana sarebbe insostenibile. E con l’attuale situazione di stallo politico, non resterebbero molte alternative alla chiusura della diciassettesima legislatura. Così la prima cosa che l’Italia ha da fare è guardarsi intorno, come uno studente impreparato durante un compito in classe, e vedere se tra i banchi vicini c’è qualcosa di buono da cui poter trarre spunto.

Adesso, il centrosinistra vuole il doppio turno alla francese e il centrodestra berlusconiano preferisce il reintegro del vecchio sistema misto, con buone probabilità di influenzare anche la posizione di Ncd. Con tali presupposti, ilMattarellum francofono di Renzi – chiamiamolo Mattaraille – appare come una bozza ben delineata, forse migliorabile e da chiarificare in alcuni punti, nel complesso proponibile. Innanzitutto il primo fattore positivo è l’attuabilità politica. Mantenere il rapporto 75:25 tra quota maggioritaria e proporzionale, e nello stesso tempo introdurre il doppio turno in caso di mancato raggiungimento del traguardo fissato intorno al 40%, potrebbe essere una via per un’intesa tra le parti senza scendere a patti col diavolo. C’è però la possibilità che il “premio di governabilità” di 75 seggi possa diventare un’arma a doppio taglio. Se da un lato infatti può garantire una maggiore stabilità in un momento come questo, in cui la maggioranza assoluta è una chimera, dall’altro si rischia di andare a parare in un meccanismo analogo a quello che nelle ultime elezioni ha fatto sì che meno di trecentomila voti si trasformassero magicamente in 120 seggi alla Camera. Una sproporzione democraticida.

Infine rimane da affrontare la questione di una forzatura del bipolarismo, in un Paese in cui al momento vi sono tre forze politiche che praticamente si equivalgono. Supponiamo di votare con questo sistema: il centrosinistra è in vantaggio, ma non abbastanza per vincere al primo turno. Seguono centrodestra e M5S. A questo punto si giunge a uno snodo fondamentale, che porta alla selezione dei due candidati principali per la seconda tornata. Ecco che la presenza grillina, che all’apparenza potrebbe sembrare disturbante come un discorso di Giovanardi, potrebbe rivelarsi l’occasione di un’alleanza fondamentale per ottenere un governo forte, a condizione che essa sia alla pari e con punti chiari e condivisi.

In sintesi, quali sono i passaggi chiave? In primis, trovare una soluzione ragionevole (parola insolita, vero?) con le altre parti, senza piegarsi alla volontà altrui. In seguito andare al voto con il Mattaraille e trovare un’intesa costruttiva con Grillo. Renzi ci sta già provando. Dalle parti di Genova c’è ancora fredda chiusura, ma il leader del Movimento non può non considerare quella fetta di elettori delusi dalla mancata intesa con il Pd, condita dalle battute al vetriolo della Lombardi: sbattere la porta in faccia a ogni possibile dialogo, trincerandosi dietro gli hashtag, sarebbe un “Suicidio a Cinque Stelle”. E ciò non vale solo per Grillo. Dunque per favore, Matteo e Beppe, non litigate.

E se proprio non funzionasse sbirciare il compito del vicino di banco, le alternative non mancherebbero di certo. Da qualche mese si parla di Cangurum, ossia del modello australiano. L’elettore vota non uno, ma tutti i candidati, classificandoli in base alla preferenza. Se la somma dei primi voti non porta a maggioranza assoluta, si elimina la coalizione dalla percentuale più bassa e le seconde scelte vengono ripartite tra i candidati ancora in lizza, fino a raggiungere il fatidico 50% più uno. Efficace e indolore, senza inciuci e larghe intese. Importarlo con le dovute modifiche in Italia sarebbe, a mio avviso, come chiedere un suggerimento allo studente modello seduto dalla parte opposta della classe: audace e provocatorio, ma se funzionasse…

(Foto: notizienazionali.net)

Samuel Boscarello per Ateniesi

giovedì 2 gennaio 2014

Aborto: lettera aperta ai pro-life

Cari pro-life,
Prima di tutto vi dico che non mi definisco un pro-choice. A dire il vero non capisco l'esistenza di questa etichetta. Perché chi difende i diritti delle donne in gravidanza (o almeno, di una parte di loro) deve essere "pro-choice", come chi si pone a tutela dell'uguaglianza tra coppie eterosessuali ed omosessuali deve vedersi definito "gay friendly"? Faccio un esempio: oggi non credo ci sia un termine definito per chi non fa discriminazioni razziali. E', per fortuna, una cosa normalissima considerare europei, cinesi ed africani sullo stesso piano, semmai gli idioti sono coloro che sostengono il contrario. Ebbene, per me sostenere i diritti di una donna che si trova ad affrontare una gravidanza è una cosa normale, che non ha bisogno di essere definita ulteriormente.
Ma passiamo ad un elemento fondamentale del dibattito sull'aborto, in questi giorni particolarmente acceso a causa della linea restrittiva (reazionaria, la definisco io) imposta dal governo Rajoy in Spagna. Come spiegato in questo articolo di Chiara Trompetto per Ateniesi, noi non siamo "contro la vita". Se lo fossimo dovremmo sostenere l'obbligo di aborto per tutte le gravidanze indesiderate. Ma siamo coscienti che ovviamente questa sarebbe una barbarie, un'imperdonabile irruzione dello stato all'interno di quella inviolabile sfera intima che costituisce la vita privata dell'individuo. Il diritto di cui parliamo noi è quello di poter scegliere, in quanto la legge deve lasciare la possibilità di scelta ai singoli riguardo ad una questione così delicata. Io voglio un'Italia che alle donne dal pancione indesiderato dica: "Bene. Hai la possibilità di scegliere se continuare o fermarti qui, sapendo che sarai tutelata allo stesso modo, qualunque sarà la tua scelta". Vi prego, non confondete il diritto con la morale: il primo deve essere difeso a spada tratta nella vita pubblica e nelle aule parlamentari, la seconda è una cosa che riguarda la propria persona e va affrontata come e dove pare più opportuno: in camera propria, in clinica o in un confessionale.
Non siamo ipocriti. Sappiamo che la legalizzazione dell'aborto non serve ad eliminare le IVG, ma ad interrompere il circolo vizioso (e spesso mortale) degli interventi clandestini, dei tentativi casalinghi e del contrabbando di farmaci come la tanto discussa pillola RU486, assunti senza alcun controllo medico. Gli obiettori di coscienza vanno limitati in numero e va garantito in ogni struttura ospedaliera del personale disponibile ad effettuare interruzioni di gravidanza. Solo così, rendendo i diritti a pieno appannaggio dei cittadini, si può sconfiggere la piaga dei rischiosissimi rimedi fai-da-te. Volete che non ci sia più bisogno di ricorrere all'aborto? Allora informate e informatevi, parlate anche voi dei contraccettivi e incoraggiate il loro uso. Distruggiamo tutti insieme il tabù del sesso, figlio dell'oscurantismo. Ma sappiate che non esiste l'anticoncezionale perfetto e che non tutte le donne che si presentano in consultorio sono delle ragazzine ingenue che si sono spinte un po' troppo in là.
Vi chiedo anche di non tacciare di omicidio le donne che abortiscono. Se alcuni di voi (non tutti, ne sono certo) credono che l'aborto sia un gesto di codardia, una strada più breve per scrollarsi di dosso le responsabilità delle proprie azioni, allora mi farei qualche domanda su chi sia il barbaro insensibile in questa situazione. O forse siete convinti che chi abortisce lo faccia a cuor leggero, che questo atto non rappresenti un trauma per la donna. Ebbene, l'aborto rappresenta in realtà una grande assunzione di responsabilità.
Vi definite "per la vita", ma avete mai pensato al perché il più delle volte si ricorre all'interruzione volontaria di gravidanza, se si eccettuano i casi in cui vi è una malattia del feto o della madre? E avete pensato che volete togliere la possibilità di abortire anche a chi sa di non riuscire con le sue possibilità a garantire al figlio l'indispensabile per una vita dignitosa, con il rischio di compromettere seriamente la propria salute fisica e psichica (oltre a quella del bambino, naturalmente)?
Ora vi saluto. Probabilmente alcuni avranno compreso il mio punto di vista, pur non condividendolo. Sicuramente qualcuno di voi ha smesso di leggere dopo il primo capoverso, dandomi dell'imbecille, o qualcun altro è giunto fin qui, traendo le stesse conclusioni. Non preoccupatevi. Anche se voi non capite me, sono io che vi comprendo. Ma se qualcuno ha tempo e voglia di raccogliere questa palla lanciata nella caotica mischia in area dei dibattiti etici, sarò ben lieto di ascoltarlo. Vi lascio con una domanda:
Voi vi ritenete difensori della vita, ma vi siete mai chiesti quale vita state difendendo?

Samuel Boscarello