STASERA CON ParlaMente 18 luglio 2014

giovedì 2 gennaio 2014

Aborto: lettera aperta ai pro-life

Cari pro-life,
Prima di tutto vi dico che non mi definisco un pro-choice. A dire il vero non capisco l'esistenza di questa etichetta. Perché chi difende i diritti delle donne in gravidanza (o almeno, di una parte di loro) deve essere "pro-choice", come chi si pone a tutela dell'uguaglianza tra coppie eterosessuali ed omosessuali deve vedersi definito "gay friendly"? Faccio un esempio: oggi non credo ci sia un termine definito per chi non fa discriminazioni razziali. E', per fortuna, una cosa normalissima considerare europei, cinesi ed africani sullo stesso piano, semmai gli idioti sono coloro che sostengono il contrario. Ebbene, per me sostenere i diritti di una donna che si trova ad affrontare una gravidanza è una cosa normale, che non ha bisogno di essere definita ulteriormente.
Ma passiamo ad un elemento fondamentale del dibattito sull'aborto, in questi giorni particolarmente acceso a causa della linea restrittiva (reazionaria, la definisco io) imposta dal governo Rajoy in Spagna. Come spiegato in questo articolo di Chiara Trompetto per Ateniesi, noi non siamo "contro la vita". Se lo fossimo dovremmo sostenere l'obbligo di aborto per tutte le gravidanze indesiderate. Ma siamo coscienti che ovviamente questa sarebbe una barbarie, un'imperdonabile irruzione dello stato all'interno di quella inviolabile sfera intima che costituisce la vita privata dell'individuo. Il diritto di cui parliamo noi è quello di poter scegliere, in quanto la legge deve lasciare la possibilità di scelta ai singoli riguardo ad una questione così delicata. Io voglio un'Italia che alle donne dal pancione indesiderato dica: "Bene. Hai la possibilità di scegliere se continuare o fermarti qui, sapendo che sarai tutelata allo stesso modo, qualunque sarà la tua scelta". Vi prego, non confondete il diritto con la morale: il primo deve essere difeso a spada tratta nella vita pubblica e nelle aule parlamentari, la seconda è una cosa che riguarda la propria persona e va affrontata come e dove pare più opportuno: in camera propria, in clinica o in un confessionale.
Non siamo ipocriti. Sappiamo che la legalizzazione dell'aborto non serve ad eliminare le IVG, ma ad interrompere il circolo vizioso (e spesso mortale) degli interventi clandestini, dei tentativi casalinghi e del contrabbando di farmaci come la tanto discussa pillola RU486, assunti senza alcun controllo medico. Gli obiettori di coscienza vanno limitati in numero e va garantito in ogni struttura ospedaliera del personale disponibile ad effettuare interruzioni di gravidanza. Solo così, rendendo i diritti a pieno appannaggio dei cittadini, si può sconfiggere la piaga dei rischiosissimi rimedi fai-da-te. Volete che non ci sia più bisogno di ricorrere all'aborto? Allora informate e informatevi, parlate anche voi dei contraccettivi e incoraggiate il loro uso. Distruggiamo tutti insieme il tabù del sesso, figlio dell'oscurantismo. Ma sappiate che non esiste l'anticoncezionale perfetto e che non tutte le donne che si presentano in consultorio sono delle ragazzine ingenue che si sono spinte un po' troppo in là.
Vi chiedo anche di non tacciare di omicidio le donne che abortiscono. Se alcuni di voi (non tutti, ne sono certo) credono che l'aborto sia un gesto di codardia, una strada più breve per scrollarsi di dosso le responsabilità delle proprie azioni, allora mi farei qualche domanda su chi sia il barbaro insensibile in questa situazione. O forse siete convinti che chi abortisce lo faccia a cuor leggero, che questo atto non rappresenti un trauma per la donna. Ebbene, l'aborto rappresenta in realtà una grande assunzione di responsabilità.
Vi definite "per la vita", ma avete mai pensato al perché il più delle volte si ricorre all'interruzione volontaria di gravidanza, se si eccettuano i casi in cui vi è una malattia del feto o della madre? E avete pensato che volete togliere la possibilità di abortire anche a chi sa di non riuscire con le sue possibilità a garantire al figlio l'indispensabile per una vita dignitosa, con il rischio di compromettere seriamente la propria salute fisica e psichica (oltre a quella del bambino, naturalmente)?
Ora vi saluto. Probabilmente alcuni avranno compreso il mio punto di vista, pur non condividendolo. Sicuramente qualcuno di voi ha smesso di leggere dopo il primo capoverso, dandomi dell'imbecille, o qualcun altro è giunto fin qui, traendo le stesse conclusioni. Non preoccupatevi. Anche se voi non capite me, sono io che vi comprendo. Ma se qualcuno ha tempo e voglia di raccogliere questa palla lanciata nella caotica mischia in area dei dibattiti etici, sarò ben lieto di ascoltarlo. Vi lascio con una domanda:
Voi vi ritenete difensori della vita, ma vi siete mai chiesti quale vita state difendendo?

Samuel Boscarello

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