STASERA CON ParlaMente 18 luglio 2014

sabato 6 luglio 2013

Spiagge bianche e maree nere

Signori onorevoli, grazie per avermi dato l’opportunità di parlare. Tra l’altro vedo che da qualche parte tra i giornalisti si nascondono alcuni manager, che spuntano tra le arcate che dominano i banchi dell’emiciclo come ciuffetti di erba selvatica nella macchia.
Voglio raccontarvi di quando da bambino andavo a campeggiare con la mia famiglia in un posto vicino ad Agrigento, nella costa mediterranea della Sicilia. Il sole dell’estate faceva brillare le onde del mare e la cima di un grande scoglio da cui i più temerari osavano tuffarsi. Era proprio un bel posto… scusi onorevole, potrebbe mettere giù quel tablet? Grazie.
Come stavo dicendo, era una bella spiaggia. Si trovava tra due città, Gela e Licata. Uso l’imperfetto perché un giorno su quella spiaggia trovammo il divieto di balneazione: inquinamento da amianto, diceva il cartello come uno spietato giudice che pronunciava la condanna. Ma l’unica colpa di quel tratto di costa era trovarsi in una zona di cui si è sempre abusato.
Vedo che non ho ancora la vostra attenzione, così userò una parola che a voi è senz’altro cara: D.I.A.R.I.A. Noto con piacere che adesso ascoltate tutti! Bene, devo deludervi. I D.I.A.R.I.A. sono Disastri Intollerabilmente Accaduti per Ragioni di Incuria Ambientale. Ebbene, adesso immaginate un grande stabilimento petrolifero sulle foci di un fiume che sbocca nel mare più bello e ricco del mondo per la sua fauna ittica. Cosa succede se ettolitri di petrolio vengono riversati in mare in seguito ad una perdita? Un disastro, appunto. Il problema è che stavolta la marea nera non inquina il golfo del Messico, che chissà per quanto tempo ancora risentirà del mortale omaggio gentilmente offerto nel 2010. In questo periodo sembra che il mare della città di Gela sia stato attaccato da un grande cancro nero galleggiante. Passando per il Lungomare Federico II di Svevia non si può fare a meno di rabbrividire: ogni giorno quella strada è percorsa da gente che va al lavoro, genitori che accompagnano i bambini a scuola e amanti della corsa che vogliono respirare a piene narici l’odore del mare. Peccato che spesso si senta solo il tanfo aspro del fumo delle ciminiere, che bruciano ininterrottamente offuscando il cielo anche nelle giornate di sole. I gelesi vanno così fieri del loro mare che ne parlano gonfiando il petto, annunciando nelle giornate afose dell’estate che “domani si va in spiaggia”. Chissà se adesso potranno dire lo stesso, dopo aver visto le barriere di sicurezza solcare le onde in un tentativo – pressoché vano – di contenere l’acqua inquinata.
Quel che vi chiedo è semplice: quanti metri cubi di mare dovranno ancora essere inquinati prima di capire che il petrolio è sicuro quanto quel nucleare contro cui ci siamo tutti – giustamente – scagliati due anni fa? Quanto lavoro dovremo dare ad oncologi ed endocrinologi per accorgerci che soffocando le energie alternative stiamo uccidendo noi stessi? Quanto tempo dovrà passare perché si finisca di sfregiare una terra incantevole come la Sicilia, tra l’altro minacciata anche da un mostro chiamato Muos? Adesso mi fermo qui, o finirà che Bob Dylan mi citerà per plagio. Aspetto una risposta da parte vostra. Prendetevi pure i rimborsi spese – a patto che siano davvero rimborsi -, ma fate in modo che non ci siano più D.I.A.R.I.A.
Grazie.

Samuel Boscarello per cogitoetvolo.it

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