Chiamate a turno dall’eclettica moderatrice-organizzatrice Giovanna Seminara, si alzano e raccontano le loro storie, romanzi di vita reale dal finale thriller. C’è chi afferma di potersi sentire orgogliosamente “una che ce l’ha fatta”, altre preferiscono il basso profilo di chi cerca di farcela. Va bene così: a forza di camminare a testa bassa si arriva sani e salvi a destinazione. Il premio consiste in un attestato di merito con una poesia di Fabio Gagliardi scritta in calce, senza troppi clamori. In fondo si capisce subito che, se si è in cerca di auto-celebrazioni sguaiate, questo è il posto meno indicato. Basta ascoltare le testimonianze di chi ha dovuto affrontare gravissimi problemi familiari, ostacoli sul campo lavorativo e soprattutto quella fastidiosa predisposizione a rifiutare l’emancipazione sociale femminile. Siamo nella regione in cui solo una donna su tre trova lavoro, nel territorio in cui il culto del passato si trasforma in rimpianto e scoramento per il presente. Ciò non aiuta affatto.
Non è un caso che proprio a Caltagirone si premino gli ingegni femminili: la zona, sotto il costante cono d’ombra di Catania e dell’hinterland etneo, si trova in un acquitrino di decadenza politica ed economica. Verlaine ci si tufferebbe, i commercianti affogano. Così diventa un merito per una ceramista aver inventato un innovativo stile decorativo, anche quando la crisi dell’artigianato locale, un tempo fiore all’occhiello del paese, mette in pericolo la stabilità lavorativa dei dipendenti di una piccola impresa a conduzione familiare. E ancora donne sindacaliste, insegnanti, missionarie (Suor Olga, che della sua Colombia conserva la cadenza ispanica e i modi solari, come possono esserlo solo quelli dei popoli sub-tropicali). Si raccontano le siciliane impegnate in politica, come Alessandra Foti, ex vicesindaco della città e candidata per il centro-sinistra alle ultime amministrative, e persino la studentessa liceale Concetta Fargetta, che non le manda a dire e afferma di voler inseguire il sogno di diventare procuratore generale, citando Oriana Fallaci nel passo del “mondo fabbricato dagli uomini per gli uomini” e mettendo al tappeto la platea con il suo fare conciso e determinato.
Maggioranza rosa tra le poltrone, ma non assoluta ed è già qualcosa: segno che anche il genere maschile sta comprendendo l’importanza dell’uguaglianza tra gli individui della società, in cui è necessario che si infranga la cappa di piombo della distinzione tra l’uomo fabbro del suo destino e la donna-angelo (del focolare). Un Paese si definisce civile solo se promuove il merito, senza se e senza ma. Per raggiungere l’agognato obiettivo su cui si sprecano tante parole, ma ad oggi pochi fatti, è obbligatorio rovesciare quella mistura di ipocrisia e pressappochismo che porta a due conclusioni ugualmente pericolose: da una parte i ritornelli del “cosa c’è di male?”, patetiche giustificazioni dello status quo, dall’altra la convinzione che rimboccarsi le maniche spetti sempre agli altri, interpretando molto arbitrariamente l’ironia di Gaber (“la rivoluzione oggi no, domani forse, ma dopodomani sicuramente!”). Cari uomini e donne d’Italia, solo uniti possiamo concretizzare i panegirici sulla libertà. Allora sì che ce l’avremo fatta.
(Foto: Giovanna Seminara)
Samuel Boscarello per Ateniesi
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