STASERA CON ParlaMente 18 luglio 2014

mercoledì 16 luglio 2014

Se non ci ascolteranno canteremo più forte

La questione palestinese è la più grande vergogna della diplomazia occidentale. Una storia che comincia da lontano, partendo dalla dichiarazione Balfour del 1917 e sviluppandosi in una spirale di kibbutz, immigrazione, petrolio e armi. Sembra assurdo, eppure parliamo di un conflitto lacerante nell’epoca in cui l’Onu si pone a salvaguardia della cooperazione non violenta, l’Europa è unita dalla democrazia e dalla bandiera a dodici stelle e la guerra sembra roba da libri di storia. Poi accade che una squadra aerea israeliana metta a ferro e fuoco la Striscia di Gaza e tutte le illusioni della civiltà euro-americana saltano irrimediabilmente.

Le colpe sono gravi e non risparmiano nessuno, da quel capitalismo selvaggio a cui conviene mantenere l’instabilità politica nelle zone più ricche di materie prime, fino al disinteresse verso le questioni di politica estera, che già Davide Ricca ha chiaramente sottolineato. Ciò che spaventa di più è il benaltrismo malsano. Lo si può riscontrare ovunque, nelle sedi di partito, sui social network, tra i capannelli che si formano nei bar attorno alla copia del giornale fresca di edicola. Di fronte all’abisso nero del mercato impazzito, dei licenziamenti e della cassa integrazione, dello spread, del rating e di altre cento parole il cui significato meno è chiaro e più fa paura, non c’è spazio per altre riflessioni. È questo il vero dramma della crisi: ci ha resi tutti più egoisti. Che senso ha curarsi dell’immigrato che scappa dagli squadroni della morte o del malato terminale che deve trasferirsi in Svizzera se vuole morire prima che la natura faccia il suo corso, se già il nostro futuro è di per sé minacciato?

Da questo punto di vista, figurarsi se dovessimo occuparci delle vicende che avvengono in un fazzoletto di terra in Medio Oriente! Eppure una visione così miope è proprio quella che non ci permette di superare gli ostacoli della realtà. Non bisogna stupirsi infatti se gli individui più disinteressati sono proprio i giovani, attanagliati dalla paura di sprecare la propria vita a inseguire chimere e poi ritrovarsi con un assegno di disoccupazione in mano. Parlo in terza persona, poiché gli altri potranno anche arrendersi al nichilismo, io no. Da rappresentante degli studenti al Liceo “Secusio” di Caltagirone, tra manifestazioni e assemblee ho incontrato gente che viene colpita dalla sindrome di Tourette non appena sente parlare di politica e persone che il 25 aprile andrebbero in giro con il lutto al braccio. Ma ho visto anche tanti ragazzi che vogliono agire, animati dalle intenzioni migliori e da un acuto spirito critico.

È vero, non siamo quelli de “la fantasia al potere” e delle grandi lotte studentesche, ma consideriamo che la nostra età è il crepuscolo delle ideologie, a causa del trasformismo politico e della commercializzazione di ogni cosa. Non cerco di giustificare l’inerzia scaricando la colpa sulla società: lo hanno già fatto in troppi e i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ma l’ambiente in cui cresce un giovane italiano è la Gaza delle passioni, tra pregiudizi duri a morire e un consumismo elevato all’assoluto. Se prima nelle piazze parlavano Berlinguer e Pertini, adesso assistiamo ad un comico che vuole spaccare tutto e ad un pregiudicato che spaccia dentiere. Ho visto insegnanti prendere a badilate le aspirazioni di comuni maturandi con la rassegnazione di chi a quel crepuscolo vi assiste impotente.

Ebbene, chi trova solo la forza di lamentarsi senza cambiare nulla si limita a osservare le pennellate di rosso e blu mentre si mescolano, il disco solare ormai basso all’orizzonte. Poi c’è chi non vuole restare fermo a guardare, ma scalpita per entrare in azione ed è animato da una fame insaziabile. Siamo noi, riuniti in piccole colonie come gli “esiliati dal mondo delle favole” di Mannarino. Il nostro cenacolo potrà chiamarsi Ateniesi o ParlaMente (un progetto con cui io ed altri ragazzi cerchiamo di riunire chi a guardare il tramonto non ci sta), ma i nomi non contano se consideriamo ciò che siamo davvero: romantici rivoluzionari, che hanno bisogno di unirsi ed infondere fiducia a se stessi, a chi l’ha persa e a chi non l’ha mai avuta. Continueremo a lottare con le idee e battere alle porte di coloro che non ci ascoltano, a difendere la libertà e cantare canzoni di pace. Se non ci ascolteranno canteremo più forte.
Samuel Boscarello per Ateniesi

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